GIULIO MOLA
Sport

Esclusione nel calcio giovanile: il caso di Luca e la competizione a tutti i costi

La storia di Luca, escluso dalla squadra per "programmi ambiziosi", riflette la competizione estrema nel calcio giovanile.

La solitudine di un bambino costretto a guardare gli amici che giocano

La solitudine di un bambino costretto a guardare gli amici che giocano

Una mamma nel pallone. Come tante. Un figlio adolescente con un grande sogno, inseguire quella sfera di cuoio che rotola sul prato sintetico o sulla briciolina . E che si porta dietro sogni e illusioni, che spesso si trasformano in delusioni. Ad una certa età il calcio dovrebbe essere solo un divertimento, non serve chiedere il risultato ma la domanda da fare al ragazzino è una sola: "Ti sei divertito?". "E invece no - dice sconsolata mamma Giovanna -. Alla faccia di chi dice che lo sport unisce, c’è qualcuno che fa di tutto per allontanare i più fragili. Quindi se sei più scarso rispetto ad alcuni compagni di squadra, anche se hai solo 11 anni, non puoi giocare".

Succede nella pre-agonistica a Luca. Fino a poche settimane fa giocava in una scuola calcio alla periferia di Milano, ma una volta terminata la stagione è successo qualcosa che purtroppo sta diventando una sgradevole abitudine. C’è chi si tiene tutto dentro e c’è chi, come mamma Giovanna, vuole sfogarsi. "Mio figlio è un ragazzino che sin da piccolo ha sempre desiderato giocare a pallone. Lo portavamo al parco all’età di 4 anni, correva e calciava. Soprattutto sorrideva anche se sbagliava un tiro o un passaggio. Certo, non ha il fisico che ogni allenatore vorrebbe, non è velocissimo, e certamente i piedi non sono “educati“. Ma ci hanno sempre detto che a quell’età devono solo pensare a divertirsi. E invece non è così".

Cosa è successo alla fine della stagione, poche settimane fa?

"Dopo uno di quei tornei dove ci sono coppe e medaglie per tutti e si mangiano panini e salamella, l’allenatore e il dirigente hanno voluto parlare con me e mio marito. Doveva essere una giornata di festa, invece, senza neppure troppo preoccuparsi di nascondere l’imbarazzo ci hanno fatto capire che nostro figlio non era bravo come gli altri. E che quindi, visti i “programmi ambiziosi“ della società era opportuno per il suo bene trovarsi un’altra squadra. Si, avete capito bene, visti i “programmi ambiziosi“ della società quel bambino era fuori dal progetto. Per quei signori, presidenti compresi, conta solo vincere e quindi dovevano selezionare i migliori. A costo di “abbandonare“ al proprio destino altri meno dotati. Undici anni, o tredici, o quindici, non fa differenza: una cosa vergognosa".

Cosa ha detto a suo figlio?

"Lui in realtà lo aveva capito. Vero che c’era un tempo di gioco in cui era obbligatorio dargli spazio, ma poi una volta entrato in campo per il minimo sindacale, restava in panchina. E anche a lui, a fine maggio, hanno consigliato di cercarsi un’altra squadra per poter giocare di più. Anzi, un aiutante del suo allenatore gli ha detto che forse poteva provare addirittura un altro sport, o magari iscriversi ad un corso di chitarra. E poi dicono che lo sport è inclusivo...".

Purtroppo spesso diventa un festival dell’ipocrisia...

"Esatto. Gente senza valori, cui nulla importa dei più fragili. Dove per fragili non intendo solo i “disabili“, ma tutti i ragazzi. Eppure quanti spot emozionanti passano sotto i nostri occhi ogni giorno? Tutto bello. Tutto falso".

Colpa della competizione a tutti i costi...

"Sì, con tutte le conseguenze del caso. Perché l’esclusione alla lunga pesa, i ragazzi si trascinano paure, sfiducia e insicurezza. E non vanno più neppure al parco a giocare a pallone con gli amici per colpa di quelle cicatrici invisibili e permanenti"

Cosa si sente di dire a certi dirigenti e soprattutto agli allenatori?

"Guardi, non ho avuto neppure il tempo perché il giorno dopo quella “comunicazione“ ci hanno eliminato come famiglia dalla chat della squadra. Ma a quella gente dico che dovrebbero essere felici quando vedono i ragazzi sorridere, non solo se si porta a casa un trofeo o delle medaglie di latta. I risvolti umani valgono più dei risultati, perché chi pratica sport lo fa per divertirsi e per crescere. La dignità vera non è dei vincenti, perché la vita non è una partita di calcio, ma un campo di gioco dove ci deve essere spazio per tutti".

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