Ron: "La musica mi ha rimesso in piedi. Così sono arrivati tredici brani"

L'artista, all’anagrafe Rosalino Cellamare, parla del suo nuovo album dopo otto anni e l’incubo Covid: "All’inizio ero annichilito, poi la svolta. Io, figlio dolcissimo con i miei, ma bullizzato da ragazzino"

Ron torna con un album di inediti dopo otto anni

Ron torna con un album di inediti dopo otto anni

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Milano - ​Il cielo trapunto di nubi come "un quadro di Magritte dipinto sopra i tetti" in cui si spegne il mesto miagolio dei gatti che popolano l’ultima canzone di Ron si dilata lungo l’orizzonte tracciato da "Sono un figlio" primo album in studio del cantautore pavese da otto anni a questa parte. Per lui, d’altronde, l’anniversario del mezzo secolo di hit-parade (il primo album ‘Il bosco degli amanti’ è del 1973) meritava un progetto strutturato, avviato a primavera dalla pubblicazione della doppia antologia "Non abbiam bisogno di parole" e proseguito con un tour estivo a cui ne seguirà poi uno nei teatri. "Questo Covid ci ha fatto tanto male, però ci ha costretti pure a pensare" racconta lui, Rosalino Cellamare, classe 1953. "All’inizio ero annichilito, non mi veniva nulla, ma la musica mi ha preso per la collottola e, ancora una volta, mi ha rimesso in piedi. Così sono arrivati 13 brani".

"Sono un figlio" di chi o di cosa? "Del pubblico, mi verrebbe da dire. Figlio di quegli italiani che mi hanno scoperto a Sanremo nel ’70 quando cantavo ‘Pa’ diglielo a Ma’’ e hanno continuato poi a seguirmi".

Lei che figlio è stato? "All’apparenza dolcissimo. Ma facevo cose tremende ai miei compagni. Bullo? No, casomai bullizzato. Da ragazzo tenevo un diario. A tredici anni annotai il racconto dell’incontro tra i miei: mio padre che scappa dai tedeschi e si nasconde in una casa, mia madre che lo trova in cantina e se ne innamora. Bella storia, no?".

Qual è il capolavoro della sua corposa produzione? "Ho sempre pensato che la musica debba essere fatta con gli altri (in questo disco ha lavorato con Guido Morra, Maurizio Fabrizio, Bungaro, Niccolò Agliardi, Paolo Fresu e diversi altri ancora - ndr), così rispondo ‘Una città per cantare’ di Denny O’Keefe. Originariamente s’intitolava ‘The road’ e la cantava Jackson Browne. Fu proprio lui a dirmi di aver fatto un gran favore all’autore perché, fino al successo della mia versione, il pezzo era rimasto nell’ombra e O’Keefe non se la passava benissimo".

Pure nel nuovo album c’è una cover. "Già, si tratta di ‘Quel fuoco’, rielaborazione della ‘Break my heart again’ di Finneas, fratello di Billie Eilish. Ho avuto l’autorizzazione di rifarla, ma non di cambiarne il testo. Così ho lavorato assieme a mia sorella Enrica ad un adattamento di quello originale".

Questo evento lo condivide con Leo Gassman. "Leo l’ho scoperto due anni fa a Sanremo e mi è piaciuto molto. Un ragazzo intelligentissimo, mosso da una passione straordinaria. Gli ho chiesto di scrivere la sua parte, per modellarsela bene addosso".

Che Sanremo è quello d’oggi? "Non ci sono più grandi canzoni ma innanzitutto personaggi. Non ce l’ho col Festival... quando fui escluso nel 2017 provai un grande sconforto perché ‘L’ottava meraviglia’ mi sembrava davvero una bel brano".