Il vero “Doc“ si racconta: "Il successo della fiction?. Portiamo in tv una medicina che è alla portata di tutti"

Pierdante Piccioni era primario dei Pronto soccorso di Lodi e Codogno. Nel 2013 ebbe un incidente e perse 12 anni di memoria. "Sono diventato più umano".

Il vero “Doc“ si racconta: "Il successo della fiction?. Portiamo in tv una medicina che è alla portata di tutti"

Il vero “Doc“ si racconta: "Il successo della fiction?. Portiamo in tv una medicina che è alla portata di tutti"

La terza stagione della fiction “Doc” continuerà ad andare in onda su Raiuno fino al 7 marzo. A non essersi perso una puntata nemmeno quest’anno è stato, ovviamente, anche il dottor Pierdante Piccioni, colui che ha ispirato tutta la serie. Il dottore, 64 anni, originario di Levata (frazione del comune cremonese di Grontardo) in seguito ad incidente stradale avvenuto il 31 maggio 2013 sulla tangenziale di Pavia (quando lavorava come primario dei Pronto soccorso di Lodi e Codogno), entrò in coma e, a causa di una lesione alla corteccia cerebrale, perse 12 anni di memoria (ricordandosi poi solo quanto vissuto fino al 25 ottobre 2001). Raccontò tutto nel libro “Meno dodici. Perdere la memoria e riconquistarla: la mia lotta per ricostruire gli anni e la vita che ho dimenticato”, che è stato proprio il punto di partenza del medical-drama firmato LuxVide. Nella fiction il dottor Piccioni è Andrea Fanti, interpretato da Luca Argentero.

Dottor Piccioni, quest’anno, nel quinto episodio, per la prima volta ha recitato una battuta e non si è limitato ai cameo muti delle predenti stagioni...

"Sì, ho detto “Anch’io” in una scena di un consesso di medici. Fino a quel momento avevo tentato di mantenere la regola “hitchcockiana”, ispirandomi con molta modestia alle partecipazioni mute di Alfred Hitchcock, ma quel giorno a Formello (nella periferia a nord di Roma dove ci sono gli studios della LuxVide e dove vengono girate le scene interne di molte fiction) dove vado spesso a dare il mio contributo sul set ho ceduto. E i risultati si sono visti subito come ho scritto, scherzando, a Luca Argentero: nella terza serata, quella appunto in cui ho recitato la mia battuta, lo share ha toccato il picco, con il 5,4% rispetto a quelli dei giovedì precedenti. Gli ho detto che il segreto del successo sono io. E lui mi ha risposto con una grande risata".

Anche in questa stagione i casi che vengono raccontati nei vari episodi li ha suggeriti lei?

"È così. Sono tutti casi clinici e di tutti ho fatto la supervisione scientifica. Si parte da casi veri e poi con gli sceneggiatori li si romanza. E cerchiamo di usare un linguaggio non troppo tecnico e comprensibile a tutti. Questo è anche uno dei segreti del successo della fiction: racconta una medicina alla portata di tutti".

Un altro messaggio che piace molto è la centralità del paziente, con l’obiettivo di trovare la sua malattia e la via per la sua guarigione che supera qualsiasi logica economica o opportunistica..

"È vero. Lo scontro con le cosiddette “economia di scala” è quotidiano oggi nei nostri ospedali. Bisogna anche dire che “troppa poca empatia uccide” così come troppa. Bisogna trovare il giusto equilibrio. Questo è ciò che insegno nel corso di Medicina che curo all’Università di Pavia. Dico ai futuri medici che devono mettersi sempre nei panni del paziente. Io l’ho capito dopo il mio incidente stradale. Prima i colleghi mi chiamavano “Il principe bastardo”. Io arrivavo da una famiglia di agricoltori ed ero emerso in un mondo di squali. Avevo voluto impegnarmi per la scalata sociale per arrivare all’attico ed ero esigentissimo sia verso di me che verso gli altri. Mi ricordo che, invece dopo il mio incidente, un direttore amministrativo mi disse: “Piccioni, tu sei una spia dei pazienti nel mondo medico. Sei la loro quinta colonna”. Gli risposi: “Mi hai fatto il più bel complimento che potessi farmi”".

Nella fiction quest’anno, chiaramente per scopi narrativi, sono stati introdotti anche ricordi, pezzi di vita lontani da quella che è il suo passato reale. Non si rischia di allontanarsi troppo dal racconto e dal personaggio originali?

"La prima domanda da farsi è sono ricordi o sogni? Io personalmente dei miei dodici anni persi non ho recuperato nessun ricordo. Da quando però mi hanno fatto passare la corrente elettrica nel cervello, e questo è un esperimento che abbiamo mostrato nella fiction mi sveglio molto più spesso ricordando i miei sogni e incubi. “Doc” è un continuo tornare e ritornare sulla mia vicenda".

Insomma, lei vede ancora un futuro lungo per la serie...

"Assolutamente sì. Faremo “Doc 20” in Rsa e io sarò l’assoluto protagonista (scherza). L’ho già detto ad Argentero e lui mi ha detto che ne è sicuro".

Ci racconta qualche aneddoto di Pierpaolo Spollon (l’attore che interpreta il dottor Riccardo Bonvegna)?

"Con lui siamo andati a Lille, in Francia, a presentare “Doc 2” ed è stato divertentissimo. Mi era sembrato di tornare ai tempi dell’università. È matto come un cavallo. Passavamo il tempo anche a prendere un po’ in giro i francesi”.

E di Matilde Gioli?

"È una bravissima e bellissima attrice. Ha una sensibilità unica ed una intelligenza super. Mi ricordo che una volta in lacrime mi ha confidato la sua difficoltà nel recitare un passaggio della sceneggiatura perchè le ricordava un evento molto triste della sua vita personale. Lei poi adesso mi chiama sempre quando ha qualche problemino di salute. Sono diventato il suo medico di fiducia".

All’ospedale di Lodi, ora di cosa si occupa?

"Mi occupo di disabilità. Faccio parte della “commissione invalidi” e della “commissione patenti”. Mi occupo anche di individuare il percorso migliore per i pazienti post-acuti. E poi sono un po’ il vecchio saggio a cui i colleghi chiedono consigli. Oltre alla mia attività in ospedale adesso sto portando avanti il progetto “Il suono della cura” con Marco Battaglia. Giriamo i teatri d’Italia parlando di terapie non convenzionali, di quanto può fare bene alla salute la musica, se è quella che assomiglia di più al ritmo che sentivamo quando eravamo nel ventre della nostra mamma. Così come è terapeutico scrivere di se stessi. Pensate che Marco Battaglia ha recuperato una chitarra suonata da Giuseppe Mazzini".

Inoltre il 9 febbraio è uscito il suo ultimo libro...

"Sì. Si intitola “Io ricordo tutto” e l’ho scritto ancora con Pierangelo Sapegno. Mi sono inventato un personaggio all’opposto da me, perchè io ho perso dodici anni di memoria, so che non li recupererò più anche se ancora ci spero. Così scrivo di un personaggio “ipermnesico” che si ricorda tutto e cura i pazienti così. Però ha grossi problemi con le emozioni. Troppo cervello non va bene. Poi succederà qualcosa che non dico perchè è un giallo. Non ha nulla a che vedere con Doc, questo. E sono tutte cose che faccio con estremo divertimento".