Il baritono Leo Nucci: "Stavo per emigrare in Australia. Poi ho conosciuto una lodigiana"

Cantante di fama internazionale e marito del soprano Adriana Anelli. Sono insieme da 54 anni "Amo questo territorio per la sua natura". "I miei ruoli preferiti? Simon Boccanegra e Doge Foscari".

Il baritono Leo Nucci: "Stavo per emigrare in Australia. Poi ho conosciuto una lodigiana"

Il baritono Leo Nucci: "Stavo per emigrare in Australia. Poi ho conosciuto una lodigiana"

"Sono stato Rigoletto sul palcoscenico 560 volte, ma i personaggi che ho amato di più sono stati i verdiani Simon Boccanegra (dell’omonima opera) e Doge Francesco Foscari (de “I due Foscari”). Personaggi di grande umanità, la stessa che ho trovato a Lodi". Leo Nucci, 81 anni, cantante di fama internazionale, è considerato uno dei più grandi baritoni del nostro tempo. Bolognese di origine (di Castiglione dei Pepoli per la precisione) si è trasferito a Lodi per amore 54 anni fa.

Ci racconta come è andata?

"Occorre fare una premessa e io che sono credente penso che era scritto proprio nel destino. Tutto è iniziato negli anni in cui vivevo a Roma, tra il 1963 e il 1970, anni bellissimi, gli anni della Dolce Vita. Io avevo studiato a Spoleto dove poi nel 1967 debuttai nel ruolo di Figaro ne “Il Barbiere di Siviglia” di Gioacchino Rossini. A quei tempi, a differenza di adesso, in Italia di baritoni bravi ce ne erano tantissimi, almeno trenta. Ad aprile del 1970 feci una Carmen al teatro dell’Opera di Roma con grandissimi nomi: Grace Bumbry nel ruolo di Carmen, Richard Tucker nel ruolo di Don Josè e io ero Le Dancaire. I costumi e le scene erano di Renato Guttuso. Il direttore d’orchestra era Mario Rossi, colui che guidò anche l’Orchestra Sinfonica della Rai. Fu un trionfo. Io sono sempre stato una persona che scalpitava per lavorare, non mi è mai piaciuto stare con le mani in mano tanto che fin da adolescente ero andato a lavorare in una officina di corriere e poi in una concessionaria. Così, vedendo che in Italia non avevo grandi prospettive per l’elevata concorrenza iniziai a pensare di emigrare in Australia".

Come mai proprio in Australia?

"A quei tempi avevano aperto un grande teatro a Sidney e poi accettavano facilmente migranti a condizione però che sapessero parlare l’inglese".

Quindi cosa fece?

"Andai a Firenze, al consolato, per avviare le pratiche. In quei giorni al teatro Comunale c’era un concerto dell’Orchestra e del Coro della Scala di Milano con direttore Claudio Abbado e pensai di andare a sentirlo. Davanti al teatro, prima dell’inizio, incontrai un amico e gli confidai le mie intenzioni di emigrare nel continente australe. Lui provò a dissuadermi proponendomi di fare un’audizione proprio per l’Orchestra della Scala. Valutai che poteva essere un’occasione anche perché Milano era l’unica città in cui ai tempi c’era una scuola di inglese (la British School). Male che vada - pensai - studio l’inglese e poi dopo un anno mi trasferisco in Australia".

Invece?

"A fine maggio 1970 feci l’audizione per la Scala, davanti a una commissione guidata dal maestro Roberto Benaglio il quale mi chiese anche se ero proprio sicuro di voler entrare nel coro per testare la mia motivazione. Risposi di sì. Fui preso e il 30 agosto 1970 feci il mio ingresso. Dopo una settimana i colleghi mi chiesero di cantare per loro, volevano sentire colui che aveva cantato insieme a Grace Bumbry e Richard Tucker. Andammo così in uno scantinato e iniziai a cantare. Mentre intonai il brano “Ramona” di un film americano entrò una morettina che stava frequentando, alla Scala, quello che allora si chiamava “corso di perfezionamento per giovani cantanti” e oggi è l’Accademia della Scala. Si era diplomata al Conservatorio di Parma con il massimo dei voti e aveva vinto una borsa di studio. Andò poi verso la mensa e io la seguii. Era seduta a un tavolino con Donato Renzetti (poi diventato grande direttore d’orchestra) e chiesi di sedermi con loro. Era Adriana Anelli e dopo due anni, nel settembre 1972, ci sposammo. Stiamo insieme da 54 anni, una “bella anomalia” per il nostro mondo".

Come si avvicinò al canto da bambino?

"Fu quasi una strada obbligata. Nella mia famiglia si respirava musica. Mio papà aveva una voce di basso stupenda. E suonava nella banda del paese. Anche mia mamma amava la musica. E io stesso, da piccolo, suonavo il bombardino (il flicorno baritono) nella banda. Nella mia famiglia poi ci sono tantissimi nomi de “La forza del destino” di Verdi. Inoltre nell’osteria davanti alla casa in cui vivevo a Castiglione dei Pepoli, la domenica arrivavano contadini e boscaioli sia dal Bolognese che dalla Toscana. E iniziavano a intonare stornelli accompagnati da buon vino. Alla fine si cimentavano, con enormi strafalcioni, nelle arie di qualche opera. Così iniziarono a entrarmi nelle orecchie".

E lei aveva talento..

"Un giorno, una domenica di dicembre del 1957 passò sotto casa mia il maestro Mario Bigazzi, un “avventuriero” amico di Tonio, il macellaio mio vicino di casa. Mi sentì cantare e fu colpito. Io cantavo sempre, dappertutto. È una cosa che sento proprio dentro. Così mi portò a Bologna e iniziai a formarmi come baritono sotto la sua guida e di quella di Giuseppe Marchesi".

Torniamo a Lodi. Si è trovato subito bene in città?

"Sì. All’inizio quando ero fidanzato con Adriana facevo Milano-Lodi in bicicletta, con certe nebbie. Erano altri tempi. Poi quando mi sono sposato, sì mi sono trovato subito benissimo. Mi ha colpito la dolcezza delle donne e della nebbia della Bassa. Sono poi entrato presto a far parte del gruppo dei Cicloamatori di Lodi con i quali ho fatto e continuo a fare tante bellissime escursioni nel territorio. Sono andato a cavallo. E nel 2004 mi hanno consegnato il “Fanfullino d’Oro”, la massima onorificenza cittadina, premio di cui sono contento e orgoglioso. Ho poi tanti amici qui".

Quali sono i luoghi che ama di più della città?

"Beh la piazza è meravigliosa, ma anche il Lungo Adda. Da quando arrivai a Lodi per la prima volta 54 anni fa la città è cambiata molto. All’Albarola ad esempio c’era solo una cascina e adesso c’è un quartiere con una bella chiesa".

Lei ha calcato i palcoscenici di tutto il mondo. C’è un teatro a cui è più legato?

"Beh, la Scala di Milano la considero la mia casa. Mi sono esibito in 300 titoli, ho fatto tanti concerti e inaugurazioni. Però diciamo che sono legato a tutti, dal Metropolitan di New York dove ho fatto più di 200 recite al Teatro dell’Opera di Vienna ma anche all’Arena di Verona. Io ho cantato con tutti i più grandi, solo con la Callas no. Avevo avuto un’occasione, ma poi è sfumata. Ho girato il mondo ma sapete - ironia della sorte - qual è l’unico Paese in cui non ho cantato? L’Australia. Nel 2018 avevo firmato un contratto per fare una serie di recite del Rigoletto nel 2021. Ma poi la pandemia da Covid ha fatto saltare tutto e non si sono più andato”.

Attualmente canta ancora?

"A settembre 2022, quando ho interpretato Giorgio Germont ne “La Traviata” di Verdi, dopo la quarta recita ho annunciato il ritiro dalle scene. Il direttore era Zubin Mehta e lo vidi con le lacrime agli occhi, non voleva crederci. Da allora non ho più cantato in costume nè intendo più farlo. Però se mi chiamano per qualche concerto vado. Sono appena tornato dal Giappone dove mi sono esibito alla Suntory Hall e all’Opera City di Tokyo. Continuo a tenermi in esercizio e sono in forma. Faccio prove e mi diverto con il mio amico pianista Paolo Marcarini. E, per come sono fatto io, anche se mi chiamano per cantare all’oratorio San Bernardo o a quello dell’Albarola per una esibizione ci tengo a prepararmi a dovere".

Tiziano Troianello