Non tutti a primavera fioriscono i castagni

Esperti e docenti universitari studiano i troppi “anticipatari“. Il professor Binelli (Uninsubria): "Causa del cambiamento climatico"

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Anche in Lombardia i castagni adesso fioriscono a settembre. Figlia di un fenomeno più vasto, quello del repentino riscaldamento globale, questa preoccupante anomalia - se non fermata - porterà ulteriori, nefaste conseguenze nelle nostre foreste. La scoperta è stata fatta durante gli studi del patrimonio genetico di una decina di popolazioni di castagno da parte del progetto “Avabicarel“, Analisi e valorizzazione della biodiversità del castagno nella regione Lariana, dell’Istituto per la BioEconomia del Cnr e dell’università degli studi dell’Insubria di Varese in collaborazione con diverse Comunità montane. Tra gli esperti impegnati nel progetto, il professore del dipartimento di Biotecnologie e Scienze della vita di Uninsubria Giorgio Binelli. Professore, anche al Nord il castagno ha iniziato a fiorire a settembre, cosa significa?

"Non tutti i castagni sono fioriti, ma in particolare alcune varietà: la Gulpàt, la Bunela, la Grussulée e altre piante, genericamente dette “marroni simile“. Questo fenomeno non era mai stato osservato qui negli scorsi anni. Dopo il riscontro abbiamo iniziato a chiedere se nel resto del Paese fosse già in corso questa anomalia: in Toscana, ad esempio, accade di già e anche in altre zone del Centro Sud".

Ci dobbiamo preoccupare? Che effetti avrà?

"Un po’ sì, è un fenomeno nuovo e come tale va studiato. Molto probabilmente le piante che sono andate in fioritura in questo momento hanno utilizzato tutte le risorse, il nostro timore è che, quando sarà il momento di fiorire nuovamente in primavera, non ce la facciano. Questo significa che nel 2023 avremo un produzione castanicola ridotta. Per non parlare degli effetti che potrà avere sull’intero ecosistema".

Dove è avvenuto in particolare il fenomeno e perché?

"È dovuto alle estati più calde che ormai, da eccezione, sono divenute la norma. La notizia è proprio qui, adesso anche al Nord i castagni vivono questa anormalità. Le prime segnalazioni le abbiamo avute in Valchiavenna, poi nel Lecchese e nel Lario orientale".

Avete riscontrato altre anomalie?

"Mi occupo di genetica delle piante forestali dal 1989, delle ere passate abbiamo tracce di temperature medie assai più alte rispetto a quelle di oggi, il problema adesso è che il cambiamento sta avvenendo troppo velocemente, non consentendo agli alberi di migrare".

Migrare?

"Esatto, fa sorridere ma è così. La migrazione avviene tramite il polline e i semi. L’abete rosso, che troviamo su tutto l’arco alpino, 12mila anni fa non c’era. Si trovava in Slovenia e nella sola provincia di Cuneo. Da questi luoghi si è diffuso, colonizzando le Alpi. Le temperature cambiavano di mezzo grado al secolo, non di 3-4 gradi ogni cinque anni. Con questa velocità gli alberi non riescono a sopravvivere spostandosi verso le cime delle montagna ma anche qui, prima o poi le montagne finiscono. Su altre anomalie non ho riscontri".

Cosa possiamo fare?

"Nella foresta gli alberi rappresentano una minima parte dell’ecosistema. Ci sono specie vegetali e animali che non finiscono più, bisogna considerare anche il sottosuolo che va tutelato. Perdere la foresta significa perdere una quantità impressionate di biodiversità. Dobbiamo cercare il più possibile di ridurre le emissioni. Queste anomalie sono portate dalle attività antropiche. Basterebbe che tutti facessimo la nostra piccola parte per risparmiare e non sprecare".

Federico Dedori