Karakorum, ecco la "piramide" della cultura

Il direttore Stefano Beghi: abbiamo toccato con mano la precarietà del nostro lavoro, non possiamo più lasciare il mondo fuori dalla porta

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di Diego Vincenti

Sembra quasi un piccolo Louvre. Con quella piramide che spunta dal cemento, circondata dai caseggiati. Solo che in questo caso nasconde al suo interno un teatro. E, all’entrata, ci sono due grossi bovini tibetani.

D’altronde si parla dello Spazio Yak, fin dal nome a proteggersi dietro spessi centimetri di corna e di pelo. Da qualche anno casa-base di Karakorum Teatro, che lì prova a tenere alta in città la bandiera del palcoscenico e di tutto quello che ci gira intorno. Partendo dal cuore vivo (e scalciante) di piazza Fulvio De Salvo, quartiere Bustecche. Dove una certa visione dell’arte si è integrata nel tessuto cittadino. Fra le persone. Forse questo il merito più grande dell’associazione diretta da Stefano Beghi, capace anche quest’anno di organizzare la propria stagione in collaborazione con Teatro Periferico di Cassano Valcuvia, altra vivacissima realtà del territorio. Titolo: “Latitudini”.

E da poco è partito il secondo spezzone, con appuntamenti fino a luglio inoltrato. "In questi mesi ci siamo molto interrogati sul senso del nostro lavoro – spiega Stefano Beghi –, ne abbiamo toccato con mano la precarietà, quella dei nostri spazi, delle nostre organizzazioni. Nel presentare una nuova stagione di spettacoli e attività, ci siamo resi conto di essere cambiati: oggi non possiamo più chiuderci dentro il teatro e lasciare il mondo fuori dalla porta. Abbiamo percepito l’urgenza di immaginare un futuro nuovo, sostenibile, bello, e abbiamo maturato il desiderio di fare la nostra parte. L’Onu ha elencato 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile, e noi abbiamo costruito un programma di spettacoli che ci aiutino a comprenderli, per immaginare, sognare, disegnare una strada possibile".

A fine mese “Esercizi di fantastica” di DimitriCanessa per Sosta Palmizi, apologo per i più piccini sul potere dell’immaginazione; a marzo “PhoebusKartell” di ServoMuto, seguito poi fra gli altri da “Play” de La Confraternita del Chianti e “Shakespearology” dei Sotterraneo.

Ma al di là dell’abituale dialogo con gli spettatori – pur prezioso in un territorio che mostra una certa crisi a riguardo –, il lavoro di Karakorum sorprende per la ramificata ampiezza di progetti e percorsi formativi, come a ribadire nel quotidiano un preciso ruolo culturale e sociale all’interno della propria comunità.

Si veda la recente collaborazione con il Festival Tra Sacro e Sacro Monte o la lunga progettualità di Yak Around, per un confronto sempre più permeabile con il quartiere.

E poi ancora ovviamente l’ormai centrale attività di residenza artistica, l’analisi delle nuove tecnologie applicate alla creatività, i laboratori sociali, le fortunate “Cene con delitto”. Ma nella piramide ci si può perfino prenotare la verdura a km zero, così, tanto per non farsi mancare nulla.

A conferma che dietro quel nome gonfio di ghiacciai e di vette irraggiungibili, Karakorum è un territorio aperto. Dove ancora ci si può ritrovare a far cose. Insieme. Occhi negli occhi. Robe dell’altro mondo.