Palma
Ci siamo. Quarantotto ore alla finale che aspettiamo da due anni. A Istanbul il sogno di una notte da campioni d’Europa è svanito sul più bello. Ma non è sparito del tutto: l’abbiamo tenuto gelosamente in un cassetto, pronti a tirarlo fuori alla prima occasione. E ora l’occasione è arrivata. Di nuovo. Sudata. Sacrosanta. L’esaltante cammino nella prima fase della Champions League ci ha spinti a sperare ancora. E la cavalcata iniziata negli ottavi di finale contro il Feyernoord e proseguita con le imprese contro Bayern Monaco e Barcellona ci ha esaltati.
Il lavoro non è concluso: serve l’ultimo passo all’Allianz Arena, bisogna battere il Paris Saint Germain. Non ci basta una gita di massa in Baviera per solleticare una volta di più l’orgoglio di essere nerazzurri: stavolta dobbiamo issarci sul tetto più alto. Rispetto al 2023, c’è più consapevolezza. Più convinzione. Più fiducia in una squadra che l’anno scorso ha dominato il campionato e che solo pochi giorni fa ha dovuto abdicare tra mille rimpianti, distratta da un obiettivo più grande: quello di entrare nel Pantheon della Beneamata, scrivendo il proprio nome accanto a quello della grande Inter di Herrera e a quello del Mourinho team che trionfò al Bernabeu. Sommer come Sarti e Julio Cesar. Di Marco come Facchetti e Zanetti. Acerbi come Picchi e Samuel. Calhanoglu come Suarez e Cambiasso. Barella come Bedin e Sneijder. Thuram come Corso ed Eto’o. E Lautaro come Mazzola e Milito.
Già, Lautaro, il nostro capitano. L’altra sera a Como faceva fatica a trattenere le lacrime, al secondo scudetto perso al fotofinish in quattro anni. Frustrazione, rabbia, delusione. Eppure l’occasione del riscatto è dietro l’angolo: "Possiamo entrare nella storia di questo club, non è da tutti", disse l’argentino la sera del 22 aprile 2024, prima di cucirsi sul petto il tricolore della seconda stella a casa dei cugini. Non è da tutti conquistare la Coppa, Toro. E allora provateci fino all’ultimo respiro: meritate un posto tra gli immortali del pallone.