MATTIA TODISCO
Finale Champions League

A Monaco con l’Inter dopo l’addio mancato

Un anno fa il “no“ alla corte del Bayern per proseguire nell’avventura in Italia. Il turco proverà ad alzare la coppa dalle grandi orecchie nel Paese in cui è nato.

L’esultanza di Hakan Calhanoglu subito dopo aver realizzato il rigore del momentaneo 2-0 contro il Barcellona al Meazza

L’esultanza di Hakan Calhanoglu subito dopo aver realizzato il rigore del momentaneo 2-0 contro il Barcellona al Meazza

La Germania la conosce bene. Hakan Calhanoglu è turco, ma tedesco di nascita. Ha visto il mondo per la prima volta in quel di Mannheim, il che gli permette di avere la doppia cittadinanza. Sulle sponde del Reno è cresciuto, uomo e calciatore, dall’intero settore giovanile fino ai sei anni di prima squadra. Karlsruhe, Amburgo, quindi il Bayer Leverkusen dal quale il Milan lo ha prelevato. Sta per tagliare il traguardo degli otto anni al di quà delle Alpi, dopo aver rischiato di fermarsi a sette. Poco meno di un anno fa il Bayern Monaco, proprio la squadra della città in cui si giocherà la finale di Champions League, ci ha fatto più di un pensierino. I bavaresi erano alla ricerca di un centrocampista centrale. Hanno avviato un dialogo con l’entourage del giocatore, sondando la disponibiltà a tornare nel vecchio campionato. Un tentennamento di qualche ora, davanti alla possibilità di una proposta economica superiore a quella che l’Inter gli elargisce. Poi la scelta: restare, credere ancora nel progetto nerazzurro, in cui era e resta centrale. E i tedeschi scelsero João Palhinha.

La stagione di Calhanoglu, dopo il flirt estivo, è stata un susseguirsi di piccoli acciacchi. A febbraio scorso, sulla torta di compleanno, c’erano 31 candeline e il contachilometri comincia a segnare numeri alti, specialmente per un giocatore che agli impegni del club aggiunge quelli con la nazionale. Ad ogni intoppo il calciatore frena e riparte, la conseguenza è che il motore non sembra mai a pieni giri. Manca la brillantezza dei giorni migliori. Difficile, però, che si scenda sotto certi standard. Anche quando la regia appare meno illuminata, Calhanoglu trova il modo per rendersi utile: una chiusura in più a sporcare le traiettorie offensive degli avversari, un corner pennellato sulla testa del compagno in area, una bordata dal limite a filo d’erba.

Inzaghi non rinuncia al suo faro in mezzo al campo, anche perché le alternative non hanno dato finora le stesse garanzie. Quando infortuni e squalifiche hanno impedito l’utilizzo del titolare, il tecnico ha puntato su un Asllani apparso ancora un po’ distante per letture e leadership nei momenti chiave, oppure ha piazzato in mezzo uno tra Barella (vedi il finale di partita a Barcellona) e Zielinski. Persino distante dal 100% della condizione, Calhanoglu è ancora il meglio che la squadra può offrire. I trentun anni tolgono un po’ di freschezza, ma in una finale di Champions possono compensare in esperienza.