Sondrio, minacciata e picchiata dall’ex. Ma lui è libero e lei deve nascondersi

I genitori: "Così tocca a nostra figlia subire una condanna"

Violenza sulle donne

Violenza sulle donne

Dal 22 giugno vive in un “alloggio protetto” segreto con accanto la figlioletta, sradicata dagli affetti familiari in Valtellina, costretta a lasciare il lavoro, con la prospettiva di restare lontana da casa ancora per lungo tempo solo perché chiese di "essere protetta dal marito violento". "Lui, invece, venditore ambulante nei mercati, quest’estate a Rimini e in Romagna, è libero di muoversi tranquillamente. Nostra figlia e la nipotina stanno subendo loro una condanna, private come sono del loro mondo. Non chi avrebbe dovuto subire le conseguenze del suo comportamento fuorilegge".

All’insaputa della donna, sono i genitori a rendere pubblico il “caso“. Si sente ostaggio della burocrazia "dopo avere a lungo sperato in un rapido intervento della giustizia, alla quale aveva chiesto aiuto firmando due dettagliate denunce presentate per le minacce e botte che subiva dal marito pakistano, dal quale nel frattempo si è separata". Non ha voluto che la sua storia di maltrattamenti in famiglia e lesioni diventasse di dominio pubblico, anche perché anni fa quando la sua relazione e conversione all’Islam con un richiedente asilo (il 33enne poi divenuto suo marito e ora indagato) - accolto con altri di diverse etnie in un hotel su disposizione della Prefettura - divenne nota finì nell’occhio del ciclone. Ma ora i genitori della vittima sono stanchi di stare zitti. "Nonostante le querele – raccontano - nessun provvedimento venne preso nei confronti dell’allora suo marito, come il divieto di avvicinamento. Lei fu aggredita, e aveva paura per quello che le era successo e temeva si ripetessero episodi peggiori, in quanto lui non accettava che le loro vite si fossero separate".

«Ci sentiamo presi in giro da chi doveva aiutarla - dichiarano - . Non avendo ricevuto alcuna tutela e la paura in lei cresceva, nostra figlia ha deciso di rivolgersi ad un centro Antiviolenza che, dopo averle fatto compilare un modello di valutazione del rischio di recidiva, ha qualificato detto rischio come alto. A seguito delle relazioni dei Servizi sociali un giudice ha confermato la necessità della loro protezione in una località segreta. E ora le assistenti sociali le hanno detto che dovrebbero restare lì ancora per lungo tempo". "Purtroppo - afferma l’avvocato Gianmaria Moiola - assistiamo, ancora una volta, a comportamenti di sopraffazione che condizionano la vita di una donna. Una donna che è doppiamente vittima: vittima della paura e delle violenze e vittima di una situazione che le impone di vivere in una località segreta, lontana dal proprio ordinario e dai propri affetti".