Messi male con l’acqua “del cudée”

Emilio

Magni

altra mattina al bar una discussione sul calcio ha rischiato di finire in rissa a causa di un’offesa pesante e pronunciata usando un modo di dire del dialetto brianzolo per quasi tutti molto misterioso quindi l’insulto era ancora più rovente. È avvenuto che un paio di tifosi contestavano un gol subito, in una partita del giorno prima, dalla loro squadra e quindi ce l’avevano con altri avventori dichiaratamente fanatici della compagine avversaria che aveva beneficiato di quella rete contestata. Uno dei contendenti soverchiava pesantemente tutti gli altri usando argomentazioni forti e un’arroganza che lo rendeva assai odioso. Ed è stato così che a un certo punto il Carletto, che non aveva mai parlato, ha gridato a costui: "Ma se te vorett savè ti che te semper bevù l’acqua del cudée?". Mentre quasi tutti non hanno compreso il significato dell’espressione, colui cui era stata indirizzata ha capito che si trattava di un’offesa piuttosto pesante e quindi ha reagito violentemente. C’è voluto l’intervento della barista per riportare la calma. Ma cosa aveva mai detto Carletto di tanto offensivo? Aveva tirato in ballo "el cudée" che era un comunissimo attrezzo usato dai contadini per affilare la falce. Era costituito da un corno di bovino appeso alla cintola grazie a un gancio e contenente la cote, ovvero la pietra per l’affilatura e l’acqua che serviva per raffreddare la cote dopo che era stata usata per molare con grande impegno e tanta abilità quell’attrezzo: per i contadini "la ranza". Dire a uno che aveva dovuto bere l’acqua della cote era come dargli del poveretto, del miserabile che quando era nei campi coltivati non aveva nemmeno la fiasca dell’acqua per dissetarsi. Insomma un buono a nulla. Quindi per il Carletto uno così come poteva atteggiarsi a gradasso capace si sopraffare tutti gli altri questionanti con la sua prepotenza, sia nelle argomentazioni, sia con l’elevata intensità della voce e mettendoci pure qualche imprecazione?

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