
È un processo dove ad un certo punto due filoni si incrociano tra di loro. In quello, attualmente in corso sono imputate quattro persone. Avrebbero versato degli assegni postali sul proprio conto per poi svuotarlo. Fin qui tutto normale, non fosse che, in base alla ricostruzione della procura, quei soldi provenivano da conti di ignari cittadini. E dell’accusa di riciclaggio devono rispondere E.C. 62 anni, di Reggio Calabria, F.A. 57 anni, pure di Reggio Calabria, L.T.Z. 53 anni, nata in Costa d’Avorio, e F.I. Ma c’è un quinto uomo in questa vicenda: A.B. 42 anni, di Vibo Valentia (assistito dall’avvocato Gabriele Di Dio), che in qualità di dipendente delle Poste (la sede di Bergamo), si sarebbe appropriato dei 170mila euro da cui "nascono" gli assegni intascati dai quattro imputati di cui sopra. Le Poste Italiane spa sono parte civile, così come i titolari dei conti che sono stati prosciugati. A.B. ha scelto il rito abbreviato, ed è stato condannato in primo e secondo grado per peculato; ora si è in attesa della pronuncia della Cassazione. L’avvocato Di Dio ha già chiesto, in primo e secondo grado, la riqualificazione dell’imputazione in condotta di appropriazione indebita rilevando che il suo assistito non fosse un incaricato di pubblico servizio ma un consulente. Secondo la ricostruzione dell’accusa nel 2019 A.B. nella sua veste di consulente finanziario avrebbe formalizzato la richiesta di rimborso anticipato di buoni fruttiferi dematerializzati di alcuni ignari clienti, accreditando la somma sui loro conti, in totale 170.300,00 euro per poi procedere con la formazione delle richieste per l’emissione di assegni postali a loro nome (delle vittime, chiaro). I beneficiari di questi assegni erano alcuni degli imputati nel procedimento in corso, vale a dire E.C. e F.A.
Francesco Donadoni