Reporter pavese ucciso in guerra: è già battaglia diplomatica

La fine di Andrea Rocchelli e la condanna del miliziano Markiv. In campo l’ambasciatore ucraino: "Niente prove certe"

 Andrea Rocchelli ucciso a 30 anni  il 24 maggio 2014

Andrea Rocchelli ucciso a 30 anni il 24 maggio 2014

Pavia, 23 novembre 2019 - La vicenda giudiziaria relativa all’omicidio del reporter pavese Andrea Rocchelli sta assumendo i connotati di un caso diplomatico dove la giustizia dovrà anche fare i conti con la politica internazionale. Una situazione in cui è intervenuto anche l’ambasciatore d’Ucraina in Italia, Yevhen Perelygin. Sia la difesa del militare Vitaliy Markiv, condannato a ventiquattro anni di reclusione in primo grado, che il legale che assiste l’Ucraina, Stato ammesso come responsabile civile al processo, hanno presentato ricorso in Appello contro la sentenza della Corte d’Assise di Pavia: «Nessuna prova certa», tuonano entrambe le parti.

Rocchelli è morto il 24 maggio 2014 a Sloviansk, in Ucraina, dove stava documentando la guerra civile in atto, fra i sostenitori della causa dell’indipendenza dello stato ex sovietico e i filorussi che rivendicano a Mosca la sovranità sulle regioni di confine. Markiv è sergente della Guardia Nazionale ucraina e si trovava sulla collina da cui partirono gli spari che uccisero il fotografo pavese, il giornalista russo Andrei Mironov e ferirono il collega William Roguelon. L’accusa ritenne che Markiv ebbe un ruolo nell’omicidio dell’italiano, così la Corte che in primo grado l’ha condannato a ventiquattro anni di reclusione. Sentenza contestata dall’ambasciatore ucraino: «Lo Stato ucraino è determinato ad usare tutti i mezzi legali per garantire giustizia a Vitaliy Markiv esprimendo l’auspicio che la Repubblica italiana voglia rimanere fedele ai suoi principi di Stato di Diritto», ha spiegato il diplomatico in una nota diffusa ieri attraverso canali ufficiali.

E aggiunge: «La corte di Pavia a supporto della sua sentenza non ha presentato alcuna prova certa della colpevolezza di Markiv. Durante il processo non è stato stabilito il tipo di munizione che ha ucciso il giornalista Rocchelli, non è stata determinata la posizione di Markiv al momento dell’incidente, né da che parte provenissero gli spari». L’ambasciatore ha anche spiegato che Kiev «ritiene fermamente che il processo civile contro l’Ucraina stessa, da parte di un tribunale nazionale della Repubblica Italiana, vìoli i principi del diritto internazionale, in particolare l’immunità giurisdizionale dello Stato che si basa sulla sovranità e l’uguaglianza degli Stati». Una dichiarazione che al momento non ha ricevuto una risposta ufficiale attraverso i normali canali politici della Farnesina.

Raffaele Della Valle , legale di Markiv, ha presentato un ricorso in centoventi pagine, dove contesta «ogni proposizione dell’accusa, perché non ci sono prove concrete. Non sappiamo con quale arma è stato ucciso Rocchelli, né chi ha sparato. Mironov prima di morire disse che si trovavano tra due fuochi, una registrazione che è agli atti dell’inchiesta e del processo. Inoltre, abbiamo chiesto un sopralluogo perché la zona è molto vasta ed assolutamente è necessario trovarsi sul posto per capire posizioni e distanze». Il processo d’Appello potrebbe aprirsi nella primavera 2020.