
Il provvedimento della Finanza è scaturito dallo sviluppo di una precedente attività investigativa su tre “caporali“ cinesi che costringevano gli operai a turni di lavoro massacranti.
Dal caporalato alle fatture false e all’evasione. Era l’ottobre del 2022 quando scattarono gli arresti della Guardia di Finanza di Vigevano, nei confronti di tre “caporali” di nazionalità cinese, amministratori di fatto di altrettante ditte individuali nel settore calzaturiero, accusati dei reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Con operai, tutti cinesi, costretti a turni di lavoro massacranti, fino a 15 ore al giorno, sette giorni su sette, con paghe “a cottimo” ben al di sotto delle tariffe fissate dai contratti nazionali di categoria.
Da quelle indagini delle Fiamme gialle è proseguito un ulteriore filone d’inchiesta, che ha portato ora al sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, di beni e disponibilità finanziarie per oltre 16 milioni di euro. Lo sviluppo delle indagini è stato reso noto ieri, con comunicato stampa diramato dalla Procura di Pavia, a firma del procuratore Fabio Napoleone. Destinatari del decreto di sequestro otto imprenditori e altrettante società, con residenze e sedi in Lombardia, Piemonte, Veneto e Sicilia, dove sono scattate le relative perquisizioni, in tutto sedici. I reati contestati riguardano l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, omessa dichiarazione e omesso versamento dell’Iva.
"L’attività di indagine - spiega il comunicato dela Procura - scaturisce dallo sviluppo delle risultanze emerse all’esito di una precedente attività investigativa, condotta congiuntamente da militari appartenenti al Gruppo di Pavia ed alla Compagnia di Vigevano, in materia di “caporalato”". Si tratta appunto di uno sviluppo dell’inchiesta che ventisette mesi fa portò ai tre arresti, in esecuzione di misure cautelari in carcere, nei confronti dei tre imprenditori, che gestivano le società tramite prestanome e che cambiavano spesso titolare, denominazione, ragione sociale e partita Iva, sempre con l’obiettivo di rendere più difficili i controlli, che invece sono proseguiti dopo aver smascherato lo sfruttamento del lavoro, portando alla luce un’ulteriore finalità illecita.
"In particolare - prosegue il comunicato della Procura - le attività investigative in questione hanno permesso di svelare un complesso schema societario costituito al fine di emettere fatture per operazioni inesistenti per decine di milioni di euro che venivano poi utilizzate per evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto". Oltre alle contestazioni delle violazioni fiscali riscontrate, i finanzieri hanno anche ottenuto la chiusura d’ufficio della partite Iva coinvolte nella frode.