Casa accoglienza, il riscatto dei giovani: “Pensavo di essere irrecuperabile, non è così”

Le testimonianze dei protagonisti, ospiti e volontari della struttura: "Alla stazione ferroviaria si può toccare con mano la vera povertà"

I giovani della struttura hanno raccontato la loro vita

I giovani della struttura hanno raccontato la loro vita

Pavia – Alessio ha da poco compiuto 18 anni e da 10 mesi vive a Casa accoglienza, ma ha trascorso tanto tempo in altre comunità. "Tutti abbiamo dei difetti - ha scritto in un racconto -, ma non conosciamo davvero noi stessi. In comunità, dove regna l’altruismo combinato alla bontà d’insegnare, ti accorgi di che pasta sei fatto". La "pasta" di cui era fatto, un altro ragazzo pensava non fosse buona: "Mi sono sentito dire talmente tante volte, soprattutto dai miei genitori, che ero irrecuperabile, che cominciavo a crederci. La Casa del giovane mi ha dato una mano a capire che forse così irrecuperabile non sono".

I due ragazzi si sono raccontati. "È importante dare voce ai giovani, che dopo un passato di devianza - ha detto Simone Feder della Casa del giovane - stanno cercando di reggere l’urto del cambiamento". Dare voce ai giovani che stanno vivendo particolari esperienze. Come coloro che incontrano i coetanei in carcere. "All’inizio per me è stata una curiosità - ha raccontato Claudia Cremonesi che partecipa a un laboratorio in carcere - e mi sono accorta che quello del carcere non è un mondo così lontano. Ogni mercoledì noi partendo da una parola, come ad esempio famiglia, tiriamo fuori esperienze personali, trascorsi di vita differenti per ognuno di noi".

Secondo quanto sostiene il cappellano del carcere, don Dario Crotti, la casa circondariale dovrebbe essere vista come un quartiere della città. Allo stesso modo anche i senza fissa dimora non dovrebbero essere invisibili. "Mi sono avvicinata ai senzatetto per caso - ha detto Virginia Binelli, 20 anni -, sapevo che a Pavia alcuni vivevano per strada, ma non mi ero mai imbattuta in uno di loro. Dopo il lockdown volevo essere d’aiuto ad una realtà di volontariato. Ho pensato ai clochard ai quali portare una ciotola di minestra e del tè caldo. Il mercoledì sera con un gruppo di giovani andiamo in stazione dove si può toccare con mano la povertà. Dopo la stazione ci spostiamo al dormitorio Caritas. Sono due realtà molto diverse accomunate dall’indifferenza e dalla paura della gente. Quando noi arriviamo siamo le prime persone che nell’arco di una giornata hanno rivolto loro un sorriso e scambiano delle parole. I loro racconti sono strazianti. Ci sono ragazzi scappati dalla guerra e hanno ancora in patria la loro famiglia e pachistani che hanno raggiunto l’Italia a piedi".