‘Bambina di pietra’, la causa della malattia di Bea identificata dopo 13 anni

Equipe di ricercatori coordinati dall'Università di Pavia risolve il caso e Nature communication pubblica il lavoro

Un laboratorio di ricerca

Un laboratorio di ricerca

Pavia, 3 maggio 2023 – Non aveva una malattia rara, aveva una malattia unica la piccola Bea, una bambina di 8 anni morta nel febbraio 2018. Dopo 13 anni e centinaia di esperimenti un gruppo internazionale di ricercatori, coordinati da Elisa Giorgio ricercatrice dell'Università di Pavia e di Fondazione Mondino IRCCS, è riuscito ad identificare la causa della malattia della “bambina di pietra”. E ora la prestigiosa rivista Nature communication ha pubblicato il lavoro internazionale, guidato dall’Università di Pavia, che risolve il caso.

Le visite e i pareri medici

Era il 2010 quando Bea veniva visitata nell’ambulatorio di genetica clinica pediatrica dell’ospedale infantile Regina Margherita di Torino perché presentava delle tumefazioni alle articolazioni. Le radiografie e la TAC rilevavano rapidamente una situazione molto particolare, una serie di “calcificazioni” che stavano progressivamente trasformando la cartilagine in osso.

Bea è una bimba vivace ed intelligente, ma ben presto le articolazioni si bloccano rendendo impossibili i movimenti di braccia e gambe. Gli esami radiologici mostravano un quadro sempre più grave ed erano sconcertanti anche per i medici più esperti: nessuno specialista aveva mai visto un caso come quello di Bea in tutto il mondo.

Una Onlus

La famiglia ha creato una onlus, si è adoperata per far conoscere il caso di quella che veniva chiamata la "bambina di pietra".

La ricerca

La ricerca è iniziata attraverso la collaborazione tra i pediatri che hanno inizialmente approfondito il quadro clinico (Giovanni Battista Ferrero, Margherita Silengo, Università di Torino) e il laboratorio di genetica medica e malattie rare di Alfredo Brusco (dipartimento di Scienze mediche Università di Torino; Città della Salute e della Scienza, Torino). Per capire il complesso meccanismo alla base della malattia è stata necessaria una collaborazione con diversi centri italiani (Marco Tartaglia, ospedale pediatrico Bambin Gesù, Roma; Massimo Delledonne, Università di Verona) ed esteri (Malte Spielmann, Università di Lubecca e Kiel, Germania). Il gruppo di ricerca ha identificato, con una serie di approfondimenti, un’anomalia cromosomica unica, mai descritta in letteratura caratterizzata dalla presenza di un segmento del cromosoma 2 doppio, inserito sul cromosoma X della bambina.

La definizione del meccanismo biologico alla base del quadro clinico ha permesso di dare alla famiglia della bambina una risposta attesa da molti anni, una risposta che permette, come in tutte le malattie rare, di porre fine all’odissea diagnostica, complessa e dolorosa che caratterizza queste patologie.

La collaborazione

“Questo studio è la dimostrazione di come la collaborazione tra gruppi di ricerca con competenze diverse sia la chiave per ottenere successi scientifici - spiega la dottoressa Giorgio - La ricerca ha bisogno di tempo e si costruisce sulle conoscenze che a mano a mano gli scienziati accumulano; nel 2010 non avevamo i mezzi tecnologici, né le conoscenze di base per capire la malattia di Bea”. Proprio la dottoressa Giorgio nel 2015 aveva scoperto un meccanismo simile a quello che causa la malattia di Bea (chiamato in gergo tecnico “adozione di un enhancer”) come causa di una rara forma di malattia neurodegenerativa, l’ADLD, adesso uno dei filoni di ricerca del suo laboratorio a Pavia.

Studiando le malattie rare come quella di Bea, gli scienziati possono trovare percorsi e meccanismi che potrebbero essere coinvolti anche in malattie più comuni. Lo studio identifica un gene ARHGAP36 come implicato nella formazione ossea, un’informazione del tutto sconosciuta fino ad ora. Studiando questo gene e la sua funzione è possibile che capiremo meglio le malattie ossee nella popolazione generale. Al momento è troppo presto per pensare ad un utilizzo pratico della ricerca fatta, ma i ricercatori coinvolti sono entusiasti di aver contribuito a risolvere uno dei casi più misteriosi di malattia rara conosciuta.