
Il lupo e Cappuccetto Rosso: quando l'orrore è in famiglia
Monza, 5 maggio 2019 - Il travaglio per sua fortuna fu molto rapido. Iniziò alle dieci di sera. Un’ora piu tardi si erano rotte le acque e quando la mezzanotte era passata da pochi istanti il bimbo era nato. Piangeva, come tutti i bimbi sani. Forse, se solo le circostanze fossero state diverse, il giorno dopo i giornali lo avrebbero salutato come il primo nato di quell’anno in Brianza. I giornali ne avrebbero parlato invece parecchi mesi più tardi, quando in un’aula del Tribunale di Monza si aprì il processo contro il padre di quell’innocente. Perché la sua mamma aveva appena 12 anni. E suo padre era anche suo nonno. È una terribile storia di violenza e di abusi quella che emerge da alcuni articoli di giornale pubblicati circa 60 anni fa in Brianza. Tre casi discussi in un lasso di tempo abbastanza ristretto nei tribunali del territorio.
Il primo: mamma a 12 anni
C’è un uomo. Ha tanti figli. Chiameremo Maria la piu grande. Sta crescendo, il suo corpo cambia, ma è ancora una bambina. Suo padre però la guarda in maniera diversa. E in testa gli nascono pensieri irriferibili. Desideri infami. I soldi con tanti figli da sfamare non sono mai abbastanza e così, quando la mamma trova un lavoro come donna di servizio, sono tutti d’accordo. Lui fa l’operaio ma a occuparsi dei piccoli ci penserà Maria. Che per un po’ viene ritirata da scuola. È un’altra epoca e papà convince la moglie senza sforzi. "Si rifarà quando cresce, io da piccolo già lavoravo" è la promessa. La verità è che mentre la moglie è al lavoro lui trova sempre un pretesto buono per stare a casa e dare un’occhiata ai piccoli. L’idea che gli frulla in testa è però un’altra. E la mette subito in pratica. Approfittando dei lunghi momenti a casa, si apparta con la figlia e la violenta. Più volte. E la minaccia: "Guai a te se parli, non dire niente a mamma". Maria è già donna nel suo corpo e rimane incinta. Probabilmente il papà non se lo aspetta ma è per fortuna sua moglie ad accorgersene per prima. Parla con Maria e riesce a farsi raccontare cosa è accaduto. E prende subito le sue difese. Butta fuori di casa il marito. E lo denuncia: non era scontato. Al processo l’uomo viene condannato a 4 anni di reclusione, altri 6 mesi in casa di cura quando li avrà scontati. Oltre alla perdita della patria potestà e l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Il coraggio della mamma nonna non era scontato.
Il secondo caso: "il Diavolo in me"
Diverso infatti fu il caso della giovane Paola (anche stavolta il nome è di fantasia): lei di anni ne ha quasi 14 quando quando viene accolta in un istituto per ragazzi in difficoltà e ci si accorge che è in avanzato stato di gravidanza. Anche nel suo caso, il bruto che ha approfittato di lei è il papà. Con la differenza però che la famiglia della vittima, mamma in testa, fa quadrato attorno al violentatore. Nega tutto. Fino a quando in Tribunale non arriva una lettera: a scriverla è la sorella dell’uomo, e svela come sia proprio lui da un paio di anni a usare violenza nei confronti della bambina. La madre è complice perché, pur sapendo, ha accettato tutto. Interrogati gli altri familiari (la giovane ha fratelli e sorelle) tutti confermano il terribile racconto con dovizia di particolari. L’uomo viene imputato per violenza continuata nei confronti della figlia e atti di libidine violenti. "Ero in preda ai demoni" prova a difendersi al processo. Grazie anche a una perizia psichiatrica viene alla fine condannato a un anno, 6 mesi e 20 giorni. Dichiarato “socialmente pericoloso”, alla fine della pena dovrà trascorrere altri 6 mesi in una casa di cura.
Il terzo episodio: il buon samaritano
Una mattina in Questura a Milano si presenta una ragazzina di 14 anni. Non è sola. Ad accompagnarla e a farle coraggio ci sono anche il suo datore di lavoro con la moglie. La ragazzina fa una richiesta singolare ma dolorosa: protezione. Dalla sua stessa famiglia. La ragazzina racconta di essere vittima di morbose attenzioni da parte del padre, emigrato al Nord con la famiglia da pochi anni. Dapprima pesanti profferte, poi una violenza vera a propria. La famiglia però nega le accuse e il padre dice che è la figlioletta a essere piuttosto libertina, che le sue parole sono solo una scusa per poter uscire la sera. E si è inventata tutto perché legge fumetti “inadatti alla sua età”. Fino a quando non interviene un’assistente sociale a confermare invece le parole della giovane. Imputato di violenza carnale e atti di libidine il padre viene condannato a 5 anni e 5 mesi di reclusione. E a 2 anni in una casa di lavoro.