Valsassina, la voce dei combattenti. Le loro lettere salvate dall’oblio

La raccolta di 250 testimonianze grazie al vicepresidente dell’Anpi .

BARZIO (Lecco)

"Verrà quel beato giorno in cui potremo rivederci". Era l‘auspicio espresso durante la prigionia da uno dei 402 deportati valsassinesi tra militari, civili, partigiani, sindacalisti, scioperanti del ‘44 e oppositori dei nazifascisti internati nei campi di lavoro o nei lager. Per 47 di loro quel beato giorno non è mai arrivato: sono morti, gassati, fucilati oppure di fame, sete, fatica, uccisi dalla tifo petecchiale, dalla tbc, dagli stenti. L‘invocazione di speranza sarà probabilmente pure il titolo della raccolta di oltre 250 lettere e cartoline che i deportati valsassinesi - quasi il 4% di tutti gli abitanti della Valsassina durante la Seconda guerra mondiale, una percentuale senza pari in Italia - hanno scritto dai lager a familiari, mogli, fidanzate durante la loro prigionia. A recuperarle dall‘oblio dell‘Archivio di Stato è stato Augusto Giuseppe Amanti, 76 anni, vicepresidente dell‘Anpi della Valsassina, il custode della memoria di tutti quei 402 deportati, insieme al giovane presidente 33enne Angelo Pavoni. "Ridiamo voce a tutti loro, affinché continuino a raccontarci cosa significhi la guerra e testimoniarci la loro scelta di stare dalla parte giusta, cioè dalla parte antifascisti", spiega Amanti.

"Nelle loro lettere, spesso censurate, domandavano pacchi di cibo per sopravvivere. Ne arrivavano a destinazione 3 su 10. Chiedevano però anche notizie dei propri cari, dei propri animali, di come procedevano le cose a casa, per quanto potevano spiegavano come se la cavavano. Erano l‘unico collegamento tra loro e le persone a cui volevano bene". Nei carteggi ci sono tuttavia pure le comunicazioni di morte: "Si comunica a Lei che suo figlio Rinaldi Cressei nato il 14-8-10 in Casargo il 17 novembre 1944 per paralisi cardiaca in Flosseburg è morto. Vale come certificato di morte", è ad esempio la scarna missiva firmata dal "capomaresciallo di turno" per comunicare al padre l‘assassinio di Rinaldo Cresseri, prigioniero politico di 34 anni, deportato sul treno 81 con Teresio Olivelli, partigiano medagli d‘oro al valor militare e beato, ucciso il 17 marzo 1945 a Hersbruck, con cui, oltre al viaggio in tradotta su un carro piombato verso il lager, ha condiviso la stessa fine.

D.D.S.