DARIO CRIPPA
Cronaca

Una nevicata da leggenda. Quando 40 anni fa la città fu sepolta da un mantello bianco

Scuole e fabbriche chiuse, tetti sfondati e l’esercito per spalare. Un freddo eccezionale e il Comune messo in ginocchio dall’emergenza.

Scuole e fabbriche chiuse, tetti sfondati e l’esercito per spalare. Un freddo eccezionale e il Comune messo in ginocchio dall’emergenza.

Scuole e fabbriche chiuse, tetti sfondati e l’esercito per spalare. Un freddo eccezionale e il Comune messo in ginocchio dall’emergenza.

Era un giovedì. Faceva freddo in quei giorni. Molto freddo, la temperatura era scesa a 10 gradi sotto zero e i meteorologi avvertivano che sarebbe potuto nevicare. E infatti anche su Monza cominciarono a cadere i primi fiocchi. I bambini guardavano felici dalle finestre immaginando che presto per loro, se le cose fossero andate avanti di questo passo, sarebbe giunto il momento di andare giocare. Nessuno immaginava però che non sarebbe stato solo un gioco. La neve che cominciò a fioccare in quel 13 gennaio del 1985, quarant’anni fa, sarebbe divenuta leggendaria. Quattro giorni e tre notti di neve incessante, oltre 72 ore in cui il manto bianco toccò il livello record di 90 centimetri. La città, sepolta sotto una coltre immacolata, rimase paralizzata. La nevicata del 1985, ribattezzata nell’Italia settentrionale come la “nevicata del secolo“, si abbatté su gran parte dell’Italia centro-settentrionale accompagnata dalla contemporanea ondata di freddo. Quell’inverno in fondo era stato particolarmente rigido, con temperature sempre più basse, a causa di quella che era stata definita un’anomalia termica tale da provocare – spiegano gli esperti – il congiungimento dell’anticiclone delle Azzorre con quello polare, permettendo la discesa di aria artico continentale sull’Europa.

Anche la città di Monza si fece cogliere impreparata, come gran parte della Lombardia. Alla sera di quel giovedì i centimetri di neve caduti erano già una trentina, nei giorni successivi sarebbero saliti a 90. Le scuole vennero chiuse – anche di qui il ricordo dolce e insieme di tanti che allora erano bambini o ragazzi –, il sindaco Elio Malvezzi si trovò alle prese con un’emergenza che la macchina comunale non era pronta ad affrontare. C’erano solo sei spazzaneve e le scorte di sale si esaurirono in poche ore. Gli aeroporti di Linate e Malpensa vennero chiusi. A Milano crollò il tetto del Velodromo Vigorelli, il nuovo Palazzetto dello Sport di Milano venne distrutto. E ovviamente anche a Monza tetti sfondati e cornicioni caduti non si contarono. Le strade divennero impraticabili, molte fabbriche vennero chiuse e anche negli uffici riuscirono ad arrivare, con incredibili sforzi, solo in pochi. La città era isolata. Generi alimentari come il latte vennero presto a scarseggiare, mentre frutta e verdura non solo vennero a mancare ma ebbero rincari paurosi. Decine di persone si ritrovarono con articolazioni slogate e ossa fratturate per le cadute rimediate nel tentativo di percorrere almeno a piedi le strade in cui le macchine erano rimaste sepolte da coltri pesantissime di neve. Un ragazzo a Briosco venne centrato da una massa di neve caduta da una gru e finì in ospedale per qualche giorno. Ma anche i soccorsi non furono agevoli. Le ambulanze non riuscivano a raggiungere i pronto soccorso e non era raro vedere barellieri che procedevano a piedi in mezzo alla neve trasportando i feriti. L’amministrazione comunale di Monza, per far fronte all’emergenza, fu costretta a un certo punto ad assoldare degli spalatori, che andarono ad aggiungersi a un’ottantina di studenti ingaggiati dopo un appello lanciato dalle istituzioni. Fino a quando a spalare la neve non arrivò in tutta la Lombardia anche l’esercito. A Monza toccò a un centinaio di giovani soldati del 67° Battaglione Montelungo, reduci dalla missione di pace in Libano e che furono impiegati soprattutto alla stazione ferroviaria, nel centro storico e lungo alcune delle strade principali della città. Con loro anche la Compagnia controcarri Legnano, di stanza alla vecchia caserma di via Grigna. A estrarre i mezzi sepolti dalla neve anche il VCC-1 Camillino, un veicolo trasporto truppe riaddattato alla bisogna, I danni economici furono molto ingenti. Solo a Milano del resto in tre giorni erano caduti oltre 140 milioni di metri cubi di neve e l’economia si era fermata. Un particolare da tenere in considerazione fra l’altro è che all’epoca i telefoni cellulari da cui oggi fatichiamo a separarci non esistevano ancora e ci si poteva affidare solo alle linee telefoniche tradizionali. Che ovviamente si ritrovarono sovraccaricate e a tratti intasate. "Fummo tutti presi alla sprovvista" rammenta Giancarlo Nava, decano dei cronisti monzesi, oggi novantenne. "I collegamenti erano bloccati, mia moglie per andare al lavoro doveva camminare dal quartiere Cederna a San Fruttuoso".

Il lato più leggero e spensierato della faccenda fu quello probabilmente vissuto da decine di bambini e ragazzi, che si ritrovarono a giocare per intere giornate in un grande parco giochi naturale all’aperto con qualcuno di quelli più grandicelli che riuscì ad allestire addirittura delle piste da sci improvvisate approfittando di ogni pendenza possibile da cui lanciarsi con sci di legno veri e propri ma anche su slittini improvvisati fatti con i sacchi neri della spazzatura. E quella nevicata divenne leggenda, tanto da essere rammentata ancora oggi da migliaia di persone. I Bluvertigo, la band monzese di Morgan, ci avrebbe dedicato addirittura il titolo del suo terzo album – “Zero - ovvero la famosa nevicata del 1985“ –, quasi a ispirato al gelo e a quei giorni in cui anche l’efficientissima Lombardia andò in crisi.