Pusher sgozzato a Monza: i baby killer restano in cella

Lo ha deciso il Tribunale dei minori nei confronti dei due ragazzini che hanno assassinato Cristian Sebastiano nel quartiere San Rocco

Il luogo dell'omicidio

Il luogo dell'omicidio

Monza, 4 dicembre 2020 - Restano dietro le sbarre i due baby killer del pusher ucciso con venti coltellate. La giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Milano Marina Zelante ha convalidato il fermo per concorso in omicidio volontario premeditato e rapina aggravata eseguito dai carabinieri di Monza nei confronti dei ragazzini monzesi di 14 e 15 anni (il primo è accusato anche di detenzione a scopo di spaccio di marijuana e hascisc) che domenica hanno assassinato Cristian Sebastiano, 42 anni, davanti alla sua abitazione nelle case Aler in via Fiume nel quartiere San Rocco. 

La giudice ha anche confermato la misura della custodia in carcere, come chiesto dalla Procura della Repubblica per i minorenni milanese. I due ragazzini, interrogati l’altro giorno alla presenza dei loro difensori, gli avvocati Maurizio Bono e Renata D’Amico, hanno fatto ritorno al carcere per i minori di Torino, ma non è escluso che nei prossimi giorni possano tornare al carcere Beccaria di Milano, dove al momento dei fermi c’era il tutto esaurito, in modo che per le parti e soprattutto per i loro familiari, sia più accessibile mantenersi in contatto con i due figli adolescenti. Intanto proseguono le indagini dei carabinieri del Nucleo Investigativo e della Compagnia di Monza, coordinati dalla Procura dei minori di Milano, per raccogliere ulteriori particolari sulle circostanze rimaste incerte o incomplete. 

Prima di tutto i dati concreti: è stata disposta l’autopsia sulla salma di Cristian Sebastiano per avere la conferma che sia stato il fendente alla gola a provocarne il decesso, mentre verranno sottoposti ad accertamenti tossicologici e sul dna i campioni prelevati ai due minorenni per verificare che realmente i due amici facessero uso di droga (e di quali sostanze stupefacenti) e quali tracce biologiche possono essere rinvenute addosso alla vittima per ricostruire più esattamente la dinamica dell’omicidio. Resta poi da approfondire il movente del delitto: gli inquirenti hanno raccolto elementi e testimonianze sull’ipotesi che i baby killer siano andati da Cristian chiamato ‘Seba’ proprio per ucciderlo per punirlo di averli introdotti nel mondo della cocaina, mentre i ragazzini escludono questa ipotesi, sostenendo che l’incontro con il pusher era per minacciarlo con il coltellaccio da cucina per rapinarlo della dose di droga. Il 14enne ha addirittura dichiarato di non avere capito che Seba era morto quando se ne sono andati e di averlo saputo soltanto quando la sera dell’omicidio si è trovato i carabinieri sotto casa ad aspettarlo.

Gli inquirenti, invece, a favore della loro tesi, avrebbero raccolto nel quartiere delle case popolari più di una testimonianza di altri ragazzini secondo cui il 14enne l’avesse “giurata“ a Cristian per averlo spinto a fare amicizia mentre, a solo 12 anni, fumava le canne al parchetto, solo per trascinarlo a fare il “salto di qualità“ dal “fumo“ alla cocaina. E altre testimonianze tra gli “storici“ spacciatori di sostanze stupefacenti della zona starebbero raccogliendo i carabinieri per capire come funzionava il giro della droga in quel quartiere che ora, però, in molti, difendono dalla descrizione emersa di una periferia di degrado e criminalità. 

Da quanto emerge, poi, il 14enne frequentava il Sert per disintossicarsi dalla droga. Era stato proprio lui a chiederlo ai genitori, che non pare fossero seguiti dai servizi sociali. Come invece avevano auspicato gli insegnanti della scuola media lasciata l’anno scorso dal ragazzino, che si erano accorti di qualcosa che non andava nel 14enne e avevano lanciato un allarme che però sarebbe rimasto inascoltato.