Trapper arrestati a Carnate, in cella insieme: "Temiamo che qui ci facciano la pelle"

I due trapper Jordan Jeffries Baby e Traffik dietro le sbarre di via Sanquirico: "Non siamo colpevoli: provocati per i tatuaggi, nessun insulto razzista"

Monza, 19 agosto 2022 - "Non abbiamo mai detto: ti ammazziamo perché sei nero. Abbiamo soltanto litigato perché ci ha offesi per i nostri tatuaggi. Ma adesso abbiamo paura. Di una vendetta degli altri detenuti". Parlano dalla casa circondariale di Monza Jordan Tinti, in arte Jordan Jeffries Baby, e il suo collega Traffik, al secolo Gianmarco Fagà. I due trapper temono che adesso qualche "nero" trovato dietro le sbarre voglia vendicarsi di loro, "che ci facciano la pelle".

Rinchiusi nel carcere di Monza, per il momento se la sono cavata in aree protette e sotto osservazione, ma temono che presto potrebbero finire nelle sezioni comuni, in mezzo a tutti gli altri detenuti. E il problema è proprio qui: nel carcere di Monza, il 50 per cento dei detenuti è di origine straniera. E con il clamore mediatico sollevato dalla notizia della loro rapina con minacce di morte e insulti razziali a un operaio nigeriano, "hanno paura di ritorsioni da parte degli altri detenuti" aggiunge Biagio Ruffo, l’avvocato di Jordan Tinti.

La cosa inusuale, come rivela lo stesso avvocato, è che al momento Jordan si trova in cella proprio col suo collega e amico Traffik. Proprio quello con cui condivide l’accusa della rapina in concorso alla stazione di Carnate. A sprezzo di qualsiasi pericolo di inquinamento delle prove. Intanto, c’è stato il primo colloquio al telefono fra Jordan e il suo avvocato. "Mi ha telefonato, dieci minuti di conversazione - racconta Biagio Ruffo - in cui mi ha ribadito la sua versione dei fatti, che poi è anche quella dell’altro trapper.

Negano le accuse. Sostengono di non aver fatto nulla di quanto riportato nella denuncia presentata dalla vittima". Erano armati per difesa personale. E, come avevano già detto ai carabinieri di Bernareggio che li avevano riconosciuti per strada e sottoposti a fermo l’altra settimana, "è stato l’operaio nigeriano a insultarci nel sottopasso ferroviario: ci ha provocati, ci ha presi in giro per i nostri tatuaggi". Da lì sarebbe scaturito lo scambio di insulti da un binario all’altro del treno. E l’inseguimento, visto anche da un commerciante? Non è dato sapere. Le parole forti sì, "ma non le minacce, tanto meno razziali - ribadisce Jordan Tinti -. Certo, abbiamo probabilmente esagerato ma non vogliamo pagare per qualcosa che non abbiamo mai fatto".

Anche riguardo alla rapina ripresa al cellulare, "Traffik ha semplicemente buttato sui binari la bici abbandonata dall’operaio, ed è sceso a tagliarle le gomme, mentre io mi sono limitato a riprendere la scena col telefono e poi a postarla sul web (basta cercare su youtube il video “Traffik si incazza”, ndr ). Lui ci ha chiesto di restituirgliela e noi abbiamo detto: non c’è problema, vieni a prendertela". "Ma la vittima, di fronte a quei due ragazzoni iper-tatuati e impasticcati (sono entrambi dipendenti da sostanze stupefacenti, ndr ) – fa notare lavvocato Ruffo - che gridavano e lo insultavano, certo se ne è guardato bene".

Comunque ora si rimanda tutto al 23 agosto. È la data in cui è stato fìssato il Riesame davanti al Tribunale di Milano. Per l’avvocato Ruffo, legale di fiducia dal 2018 di Jordan Tinti, sarà la prima volta per questa vicenda, visto che nell’udienza di convalida del fermo non era stato nemmeno avvisato e aveva proceduto un legale d’ufficio. L’idea di fondo sembra quella di chiedere un patteggiamento, almeno per Tinti.