DARIO CRIPPA
Cronaca

Storie di Brianza: l’ultima corvé di Stefano Manzoni

La promessa del basket 22 anni fa morì in un incidente, in suo nome un super-torneo interrotto solo dal Covid

Stefano Manzoni aveva 21 anni ed era in servizio di leva a Cordenons

Monza - Ci sono quasi 350 chilometri fra Monza e Cordenons. Nino e Nadia, barbiere e impiegata, 22 anni fa se li fecero tutti filati, senza una sosta, l’angoscia nel cuore. Il loro figliolo, Stefano, ci era morto, in quella piccola cittadina del Friuli mai vista prima, dove svolgeva il servizio di leva. A tanti anni di distanza quel pensiero, anche ora che la vita ha ripreso a scorrere, non se n’è mai potuto andare del tutto.

Stefano era il loro unico figlio e Giacomo “Nino” Manzoni e sua moglie Nadia Della Corna ce la mettono tutta per ricordare quel ragazzo buono e diligente, che una promessa del basket e una certezza per la loro vecchiaia. Stefano aveva 21 anni e un mucchio di sogni. Giocava a basket, dall’alto del suo metro e 90, "lui che aveva genitori così piccini - scherza la mamma - ma aveva preso dai nonni friulani, spilungoni". Le ragazze se lo mangiavano con gli occhi e, dopo il diploma al “Pacle” di Muggiò (corrispondente in lingue estere), si era trovato subito un lavoretto in un’azienda tipografica ma cullava l’idea di provarci un giorno con l’università. "Era uno “smanettone” coi computer - ricorda ancora la mamma - e un giorno mi disse che dopo il militare voleva provare a iscriversi a Informatica". Non ne ha avuto il tempo. A giugno era partito per il servizio militare, reparto carristi a Cordenons. Un paesotto non lontano da dove erano cresciuti i nonni materni ma che non aveva mai visto. Il 20 settembre 1998, la tragedia. "Era in licenza - ricostruisce Nino -, lui e altri tre commilitoni (oltre a Stefano c’erano Dario Leonardi da Bollate, Francesco Trevisan da Padova e Antony Minato da San Vito Altivole, in provincia di Treviso, ndr ) erano andati in paese, a un pugno di chilometri dalla caserma De Carli, per andare a vedere la partita dell’Inter al bar. Alle 22.20 stavano tornando, in perfetto orario. Nessuno aveva bevuto più di una birra". La Fiat Croma su cui viaggiavano era quella di un commilitone, ma all’ultimo aveva voluto provarla un altro dei ragazzi.

A 350 metri dalla caserma, l’imponderabile. La strada disegna una curva a “esse”, la macchina forse corre un po’ troppo, la traiettoria è sbagliata, e finisce contro un vecchio palo della luce vicino a una cisterna vuota. Si innesca una carambola impossibile da controllare. Il botto contro un muro che fiancheggia la strada è tremendo. La macchina si spezza in due. Stefano e due dei suoi commilitoni muoiono sul colpo. Anthony – l’amico di Stefano, a casa del quale a Monza la settimana prima era venuto a vedere il Gran Premio – sopravvive soltanto qualche ora. Tre giorni dopo, fecero i funerali di Stato a quei quattro ragazzi. "C’erano tuti i soldati della caserma, le autorità militari e civili. Poi, quando riportammo Stefano a Monza, ci mandarono dietro il picchetto d’onore. Abbiamo fatto una seconda cerimonia anche all’oratorio di San Gerardo. Il suo oratorio, dove a 6 anni aveva cominciato a giocare a pallacanestro". Già, la palla a spicchi. Nino si illumina. Prima la Gerardiana da ragazzino, "ma a 16 anni lo avevano messo in prima squadra: era una guardia-ala, con un ottimo tiro da tre, 62%. Poi Dipo Vimercate, Seregno, alla fine aveva trovato modo di giocare anche al militare: voleva solo tenersi in allenamento, non appena lo videro con la palla fra le mani lo ingaggiarono nella squadra del Cordenons.

Il basket era la sua passione: "io tentavo di “traviarlo” e portarlo allo stadio a vedere il Monza, ma lui pensava solo alla pallacanestro. Non so cosa sarebbe diventato - riflette Nino - Non provo rancore per nessuno, ce l’ho solo col destino. Oggi che hanno abolito il servizio di leva Stefano non sarebbe morto. A Cordenons abbiamo continuato ad andarci ogni anno, siamo diventati di casa, è un bel posto: abbiamo fatto mettere una lapide accanto alla caserma. Ho rifatto spesso la strada che fece Stefano quella sera ma non ho mai capito cosa sia accaduto. Quel viaggio mi manca: col Coronavirus, abbiamo dovuto sospendere i nostri pellegrinaggi, speriamo di tornarci. E poi dobbiamo organizzare un super-torneo". Nino e Nadia da vent’anni organizzano un trofeo di basket giovanile in Brianza. In nome di Stefano. Vi hanno preso parte tantissime squadre, gli ex compagni di Stefano ci tornano ogni volta per giocarci una partita amichevole in attesa della finalissima. "E noi facciamo maglie personalizzate e trofei, da qualche anno abbiamo istituito un premio speciale anche in nome di Matteo Trenti, quel ragazzo di 16 anni morto in bicicletta qualche anno fa (era il 2015, ndr ) a Monza. Anche Stefano, che non voleva prendere la patente, andava sempre in bici. Maledetto virus: abbiamo dovuto sospendere l’edizione numero 20, quando riusciremo voglio fare davvero qualcosa di speciale".