"Sistema Malaspina: 14 anni all’imprenditore"

Le richieste dei pm Bellomo e Rizzo che nella requisitoria hanno ricostruito il modus operandi della “cricca“ per salvare il suo impero immobiliare

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di Stefania Totaro

"Un progetto preciso per rendere difficile la ricostruzione del suo piano di distrazione di beni attraverso un simpatico siparietto di professionisti che non possono sostenere di non avere avuto contezza dell’obiettivo delle loro condotte". Un "sistema" ideato da Giuseppe Malaspina per salvare il suo impero immobiliare milionario dal fallimento per cui i pm della Procura di Monza Salvatore Bellomo e Giulia Rizzo hanno chiesto complessivamente quasi mezzo secolo di reclusione (di cui 14 anni per il costruttore calabrese 65enne trapiantato nel Vimercatese) ieri al termine della requisitoria al processo al Tribunale di Monza che vede 15 imputati a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta e ai reati fiscali. I pm hanno chiesto altre 12 condanne fino ad un minimo di 1 anno e 2 assoluzioni. Sette anni sono stati chiesti per l’avvocata Fabiola Sclapari, 5 anni e 4 mesi per l’avvocato ed ex giudice fallimentare monzese Gerardo Perillo, 6 anni per il commercialista Antonio Ricchiuto, genero di Perillo.

Una decina le società fallite della galassia Malaspina che si sono costituite parti civili al dibattimento con gli avvocati Luca Pedi, Rosario Minniti, Stefania Bramati e Alice Falconi chiedendo un risarcimento dei danni. "Ho messo 52 milioni di euro e ora devo venire condannato", ha sbottato il costruttore quando ha sentito della richiesta di condanna record presentata dai rappresentanti della pubblica accusa. La sua difesa ha depositato due sentenze di assoluzione nei confronti di Malaspina al Tribunale di Milano per accuse analoghe.

L’imputato respinge le accuse, puntando il dito contro la crisi del mercato immobiliare del 2008. Una circostanza riportata anche dal pm Salvatore Bellomo. "Questo procedimento penale nasce in un momento di crisi dell’edilizia – ha ammesso il pm – ma per ovviare a questa situazione Giuseppe Malaspina sceglie la via dell’illegalità nel tentativo di salvare il suo patrimonio dirottando i beni da società decotte ad altri lidi. Nessuno dice che siamo di fronte ad un imprenditore che produce solo carta per fatture per operazioni inesistenti. Malaspina ha costruito e costruito tanto, ha realizzato un bellissimo maneggio ad Ornago, ma proprio per questo ha tentato di salvare quei beni dal fallimento".

Secondo il pm l’obiettivo "era creare crediti di Iva inesistenti per il pagamento in compensazione di tasse dovute allo Stato attraverso contratti simulati di vendita e perizie false sui lavori male eseguiti create a tavolino".

Al costruttore sono imputate, ha ricordato la pm Giulia Rizzo, "plurime bancarotte fraudolente, tutte contestate a Malaspina come amministratore di fatto delle società dove lui non appare per ingarbugliare la matassa. Ma il suo ruolo appare evidente, è lui che impartisce le regole, che indica la creazione ad hoc della documentazione e si fa coadiuvare da una pletora di professionisti, contabili, avvocati, tecnici, disponibile in modo supino a convalidare questo suo progetto. Un gruppo davvero attivo – aggiunge la pm – e poi ci sono i prestanomi, ben consapevoli del proprio ruolo e che accettavano il loro ruolo fittizio in cambio di qualche spicciolo o qualche favore".

Per la pubblica accusa "le società di Malaspina gli sono servite come una sorta di giocattolo per realizzare queste operazioni, tutte società partecipate dal gruppo Ideo nel settore edilizio e alberghiero, come per gli hotel Ca’ Sagredo di Venezia e Gritti di Milano. Operazioni che non hanno mai portato ad alcun beneficio diretto alle società, ma celavano le distrazioni di beni ingegnosamente ideate tramite passaggi tra società usate come scatole vuote". Per i pm sono "illuminanti le intercettazioni in cui di queste operazioni si parla candidamente, discorsi in cui quasi si confessa di commettere reati e che non si possono mettere in discussione". Ora si torna in aula il 23 giugno per le arringhe dei difensori degli imputati. Nel 2020 un’altra ventina di imputati tra dipendenti e collaboratori sono stati condannati al Tribunale di Monza con il rito abbreviato a pene fino a 6 anni di reclusione, esclusa l’associazione per delinquere. La pena di 4 anni era andata all’ex moglie di Giuseppe Malaspina.