MARCO GALVANI
Cronaca

"Salviamo gli anticorpi dei baby pazienti"

di Marco Galvani

Scoperta una mutazione genetica che causa la morte prematura delle cellule immunitarie che producono gli anticorpi, lasciando così indifeso l’organismo dalle aggressioni di virus e batteri. Un punto di partenza rivoluzionario che permette di capire il meccanismo che provoca una determinata malattia rara e quindi di aprire una prospettiva per trovarne la cura. È il risultato di uno studio sviluppato dal Centro di ricerca Tettamanti e dal Centro di emato-oncologia pediatrica Maria Letizia Verga della Clinica pediatrica-Università Bicocca a Monza. Un fiore all’occhiello della sanità non soltanto italiana, dove vengono indirizzati bambini con problemi ematologici che nella maggior parte dei casi sono “semplici“ da diagnosticare.

"In rari casi, invece, sono spie di malattie più complesse". Succede "quasi ogni settimana". Casi che rimangono senza risposta. Ma davanti a un piccolo paziente con neutropenia (una patologia che comporta la carenza di un particolare tipo di globuli bianchi) il pediatra e immunologo Francesco Saettini è riuscito, mettendo insieme tutti i sintomi, a scoprire che erano gli stessi di un topo da laboratorio che aveva l’alterazione del gene FNIP1 che “spegne“ il metabolismo delle cellule del sistema immunitario che producono gli anticorpi (i linfociti B). In pratica "la mutazione provoca una ridotta o assente produzione della proteina FNIP1 da cui il gene alterato trae il nome – spiega – Una proteina che, insieme ad altre due, è responsabile dell’attivazione di un altro gruppo di proteine che nella cellula hanno il compito di “accelerare“ la produzione di energia".

Quando c’è una forte richiesta di energia (ad esempio durante un digiuno prolungato o un’attività fisica intensa) innescano una serie di risposte mirate per fornire alla cellula ciò di cui ha bisogno. Ma senza proteina FNIP1, la cellula non è in grado di produrre più energia quando è sotto stress e muore. "Era già noto l’effetto della mutazione di quel gene nei modelli animali con conseguente agammaglobulinemia (la più grave e diffusa immunodeficienza ereditaria), cardiomiopatia ipertrofica (un ispessimento del muscolo cardiaco che ne pregiudica il buon funzionamento), infezioni ricorrenti e neutropenia, ma non era ancora mai stato osservato nell’uomo", spiega Saettini. Lui e i suoi colleghi medici e ricercatori hanno avuto l’intuito di trovare nell’ignoto la speranza di individuare una cura a malattie rare.

"Ora siamo in grado di dare un nome a una condizione che prima non si riusciva a inquadrare – sottolinea Andrea Biondi (nella foto), direttore scientifico del Tettamanti e direttore del Centro di emato-oncologia pediatrica di Monza – E se riesci a capire il meccanismo che la provoca e se sei in grado di intervenire su quel meccanismo per correggerlo, allora puoi sperare di vincere la sfida". E infatti "questa mutazione osservata può aprire la strada allo studio di nuovi approcci terapeutici contro quelle patologie, come i tumori del sangue, in cui i linfociti hanno un metabolismo molto accelerato e si riproducono rapidamente – guarda avanti Saettini – È possibile ipotizzare, intervenendo sul gene FNIP1, di rallentarne sempre più l’attività sino a farli morire".