Quel ragazzo folgorato. Ucciso sotto la doccia dopo una partita di calcio. L’impianto era difettoso

Il caso del 1973: assolto il prete che aveva allestito in tutta fretta lo spogliatoio. Alla famiglia del giovane venuto dalla Calabria andò un risarcimento di 11 milioni.

Quel ragazzo folgorato. Ucciso sotto la doccia dopo una partita di calcio. L’impianto era difettoso

Quel ragazzo folgorato. Ucciso sotto la doccia dopo una partita di calcio. L’impianto era difettoso

Aveva appena ventitré anni e voleva solo giocare a calcio. Non sarebbe arrivato a compierne ventiquattro.

Dopo una giornate al lavoro, in quell’inizio di autunno ancora così soffocante in Brianza, tirare quattro calci a un pallone, in mezzo a ragazzi come lui, e poi magari darsi una rinfrescata sotto la doccia e dissetarsi con una bibita gelata a dovere erano la cosa più simile alla felicità che potesse ipotizzare.

Non immaginava però che la sua passione e i suoi desideri si sarebbero tramutati in tragedia.

Si chiude nel 1975 con due assoluzioni e una richiesta di rinvio a giudizio l’istruttoria promossa dalla Procura di Monza per fare luce su una tragica morte accaduta a Monza due anni prima, quella dell’operaio Nicola C., ventitré anni, domiciliato a Sant’Alessandro, estrema periferia della città, rimasto folgorato all’oratorio di San Rocco al termine di una partita di calcio amatoriale.

Il coadiutore dell’oratorio è un giovane sacerdote, di anni ne ha trentuno ed è a una delle sue prime esperienze.

È pieno di buona volontà, sa farsi voler bene dai ragazzi ma sulla coscienza ha un macigno, una leggerezza costata la vita a uno dei “ragazzi“ dell’oratorio in cui presta servizio.

Nel 1975 si ritrova a dover rispondere di un’accusa pesante, imputato di omicidio colposo, mentre vengono assolti altri due giovani che gravitavano attorno all’oratorio e che gli avevano soltanto dato una mano.

Ma facciamo un passo indietro. La giovane vittima era arrivata a Monza dalla Calabria qualche tempo prima per inseguire un lavoro e si era subito integrato nella nuova realtà, trovando modo di dare quattro calci a un pallone con gli amici nei momenti liberi. Purtroppo quello che non avrebbe potuto immaginare era che l’impianto elettrico dell’oratorio in cui era andato a giocare quella sera dopo il lavoro non fosse stato allestito a dovere, come avevano successivamentestabilito i periti incaricati dal Tribunale. I tecnici avevano infatti concluso, al termine dell’inchiesta, che i conduttori elettrici adiacenti al soffitto e alle pareti di lamiera della baracca in cui era stato realizzato uno spogliatoio volante non erano stati protetti con nastro isolante e non era stato nemmeno installato l’impianto di messa a terra.

Né era stato previsto alcun altro sistema di protezione contro le pensioni da contatto accidentale.

L’incidente era avvenuto dopo la mezzanotte di un 3 ottobre. Un mercoledì. Finita la partita, Nicola C. e gli altri giocatori avevano raggiunto la baracca di lamiera lunga una ventina di metri che veniva utilizzata come spogliatoio di fortuna e che era stato fatto predisporre del sacerdote in occasione di un torneo di calcetto serale.

Lo stesso prete aveva provveduto ad allacciare l’impianto elettrico facendosi aiutare da due giovani.

Al momento di fare la doccia, però, Nicola si era appoggiato con la mano alla porta ricevendo una forte scarica di corrente.

Nel panico generale, si erano rivelati inutili i tentativi di staccarlo, anche un altro ragazzo che ci aveva provato aveva infatti ricevuto un scossa, per fortuna più lieve ed era stato costretto a mollare la presa.

Lanciato l’allarme, erano intervenute altre persone che ancora sostavano sul campo di gioco e che avevano staccato finalmente la corrente dall’impianto centrale. Nicola era stato soccorso in attesa dell’arrivo dell’ambulanza e si era tentato di rianimarlo. Portato in ospedale ormai agonizzante, si era però spento poco dopo il suo arrivo senza mai riprendere conoscenza. Il prete aveva ammesso le proprie responsabilità, una leggerezza fatale: aveva raccontato di aver installato l’impianto in tutta fretta ma di non averlo ancora completato anche se aveva l’intenzione di sistemarlo appena possibile. La disgrazia lo aveva preceduto e se la sarebbe portata per sempre sulla coscienza.

La famiglia si era costituita parte civile per avere almeno un risarcimento.

Alla fine del processo, il sacerdote era stato prosciolto per insufficienza di prove dall’accusa di omicidio colposo, mentre erano già stati scagionati i due ragazzi che lo avevano aiutato nei lavori, ma soltanto in un primo momento.

Per quanto riguarda il risarcimento, alla fine, l’assicurazione della Curia aveva pagato 11 milioni di lire ai familiari del ragazzo.

Ma nulla avrebbe mai potuto restituire ai suoi genitori quel ragazzo emigrato al Nord soltantoper costruirsi una vita.