Prima casa di comunità a Brugherio dentro il centro commerciale

La struttura aprirà si spera entro l’estate, tempi più lunghi invece per le tre sedi di Monza dall’ex commissariato di polizia all’ex cotonificio Cederna e al vecchio Umberto I di via Solferino

di Marco Galvani

Una casa di comunità nel centro commerciale Kennedy a Brugherio e altre tre a Monza, una nell’ex commissariato di polizia in viale Romagna, l’altra in via Cederna, inserendola nella parte ancora da completare del piano di rigenerazione dell’ex Cotonificio Cederna, mentre la terza sarà inevitabilmente all’interno dell’ex ospedale Umberto I di via Solferino, dove sorgerà anche l’ospedale di comunità. Questo il futuro della sanità monzese disegnato dalla riforma regionale.

La prima casa di comunità per l’ambito di Monza, Brugherio e Villasanta nascerà proprio a Brugherio. All’interno avrà tutte le funzioni più prossime al cittadino, come prevenzione e promozione salute, cure primarie con tutto il necessario per gestire i pazienti cronici, un’area di ambulatori specialistici per criticità poco complesse e un’area di servizi integrati con il Comune, che si colloca tra aspetto sanitario e sociale.

"Abbiamo già avviato un percorso con il Comune e contiamo di poter aprire la casa di comunità di Brugherio entro l’anno, magari anche già per l’estate – auspica Silvano Casazza, direttore dell’Asst Monza –. Lì i cittadini troveranno i medici di famiglia, specialisti ambulatoriali, servizi sociali e anche associazioni di volontariato che si occupa di sociale".

Attività che, considerata la posizione strategica del centro commerciale Kennedy, potranno andare al servizio anche degli abitanti dei quartieri monzesi di San Damiano e Sant’Albino. "Al momento ci sono già circa 400 metri quadrati disponibili – spiega Marco Troiano, sindaco di Brugherio –. Si tratta di spazi al secondo piano che commercialmente non sono più utilizzati da anni. E’ vero che una casa di comunità avrà bisogno di circa mille metri quadrati, ma è ipotizzabile riuscire a partire anche con questi primi spazi in attesa di perfezionare l’acquisizione dei restanti. Al piano terra dell’edificio resterà comunque la parte commerciale".

Per quanto riguarda Monza, invece, i tempi sono più lunghi. Una casa di comunità andrebbe nell’edificio in viale Romagna di proprietà dell’Opera Pia Bellani, che ospitava il Commissariato di polizia prima dell’arrivo della Questura e del trasloco in via Montevecchia, la seconda potrebbe essere costruita ex novo nel quartiere di Cederna che andrebbe a servire anche Villasanta. E poi c’è il Vecchio ospedale Umberto I, sessantamila metri quadrati semi-abbandonati alle porte del centro città che attualmente ospitano alcuni ambulatori e il servizio dipendenze e che attendo da anni una nuova destinazione d’uso.

Ma due bandi andati deserti hanno inevitabilmente congelato l’intero piano di riqualificazione. Oggi si apre una nuova prospettiva anche grazie a un rinnovato accordo di programma tra Comune e Regione a cui si è arrivati prima di Natale. E così, in un’area di circa 20mila metri quadrati, oltre alla casa di comunità in via Solferino sorgerà anche un ospedale di comunità, il secondo step previsto dalla riforma del servizio sanitario regionale. Si tratta di una struttura (ne è prevista una per ogni Asst) che, oltre alle stesse funzioni della casa di comunità, avrà una trentina di posti letto a bassa intensità, da gestire in raccordo tra medici di medicina generale e ospedali per acuti.

L’obiettivo generale è di avvicinare sempre di più le cure al cittadino, alleggerendo la pressione sugli ospedali che, a quel punto, sarebbero destinati alle emergenze e alle alte specialità. Oggi, infatti, il sistema risente ancora di una carenza di medicina territoriale: prendendo come riferimento il 2019, l’ultimo anno senza il Covid che ha inevitabilmente condizionato gli accessi in ospedale, al pronto soccorso dell’ospedale San Gerardo dei 106.744 pazienti arrivati i codici rossi erano ‘solo’ il 2,26%, i gialli il 15,61%, i verdi il 55,65% e i bianchi (ovvero persone che avrebbero potuto evitare il pronto soccorso) il 26,48% (oltre 28mila pazienti).