Precipitato nel vuoto La morte dell’operaio la catena dei subappalti e i rischi sottovalutati

Per l’incidente di quattro anni fa nel cantiere dell’Auxologico a Meda sono a processo per omicidio colposo quattro titolari e dirigenti tecnici. Secondo l’accusa "al posto della scala ci doveva essere un trabattello"

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di Stefania Totaro

Caduto nel vuoto da tre metri di altezza mentre in cima ad una scala stava posizionando il tratto finale di una canna dell’acqua sul tetto di un edificio in costruzione all’interno del cantiere edile dell’Istituto Auxologico Italiano a Meda. Flavio Bani, operaio di 49 anni dipendente di un’azienda di milanese, era morto due giorni dopo all’ospedale Niguarda di Milano dove era stato trasportato con l’elisoccorso per le gravi ferite riportate alla testa. Per questo infortunio mortale sul lavoro, accaduto nel primo pomeriggio del 26 febbraio del 2019, ora quattro persone sono imputate di concorso in omicidio colposo in un processo che si è aperto davanti al giudice del Tribunale di Monza Guglielmo Gussoni. Al dibattimento si sono costituiti parti civili la moglie cinquantacinquenne dell’operaio e i due figli della coppia, un ragazzo ventiseienne e la sorella diciottenne.

A rappresentare la pubblica accusa al processo il sostituto procuratore monzese Vincenzo Fiorillo. Secondo il capo di imputazione ad essere responsabili della morte dell’operaio devono essere chiamati l’amministratore unico della società affidataria dei lavori nel cantiere edile per la realizzazione dell’Istituto Auxologico Italiano a Meda, il dirigente tecnico del cantiere appartenente alla società affidataria dei lavori, che aveva subappaltato alcuni interventi ad un’altra impresa edile, che a sua volta aveva subappaltato ancora alla srl di cui l’operaio era dipendente. Per questi subappalti sono imputati il titolare e l’amministratore unico delle due società. Secondo l’accusa gli imputati sono responsabili per imperizia e negligenza, oltre che per la violazione della normativa per la prevenzione degli infortuni sul lavoro per "non avere adeguatamente assicurato o trattenuto la scala utilizzata dal lavoratore, non adottando tutte le precauzioni necessarie per garantirne la stabilità".

E anche di "non avere attuato quanto previsto nel Piano di sicurezza e coordinamento in materia di rischio di caduta dall’alto" che avrebbe imposto "l’utilizzo di un trabattello". Gli imputati contestano questa ricostruzione e la loro rispettiva responsabilità nell’infortunio mortale. Si torna in aula a marzo per le prime testimonianze.