
Medici e infermieri con un paziente malato di Covid-19
Monza, 10 aprile 2020 - Quando dall’oggi al domani si sono trovati catapultati in trincea hanno avuto paura. Tanta paura di quel Covid-19 che stava già mietendo vittime in Lombardia. Ma si sono armati di coraggio, amore e determinazione e facendosi forza a vicenda da oltre un mese stanno combattendo al fianco dei loro pazienti. C’è tantissima umanità nei racconti degli infermieri del Policlinico: l’ospedale polispecialistico di via Amati si è trasformato in una struttura Covid con 4 reparti di degenza, una terapia intensiva raddoppiata da 10 a 21 posti e oltre 350 pazienti provenienti non solo da Monza e dalla Brianza ma anche da Bergamo, Lodi e Crema. "Non ci risparmiamo – racconta orgoglioso il dottor Filippo Scalise, direttore del Dipartimento di Cardiologia Interventistica e vice direttore sanitario –. Tutti i medici in questa emergenza hanno messo da parte le loro specialità diventando internisti, pneumologi e infettivologi. Colleghi con specialità diverse che prima si incontravano solo nei corridoi adesso lavorano gomito a gomito".
Sono proprio i racconti della quotidianità carica di emozioni e di sentimenti, a far emergere quel lato umano che gioca un ruolo da protagonista nella lotta contro il Coronavirus, trasformando gli infermieri anche in confessori, psicologi, figli, nipoti ai quali stringere la mano mentre si esala l’ultimo respiro. "Non potrò mai dimenticare il volto del primo paziente Covid-19 che ho seguito – racconta Michele Pizzuto, coordinatore degli infermieri del Pronto Soccorso –. Era un uomo di 60 anni. Con lui è iniziata la nostra trincea, con il primo pensiero di organizzare il Pronto soccorso in due unità, una dedicata ai Covid, per evitare ulteriori contagi".
Poi però il Policlinico ha accolto solo pazienti Covid. Tante storie, cariche di lacrime di gioia, ma anche di dolore. "Come quella accaduta pochi giorni fa alla mia compagna che lavora in Terapia Intensiva – prosegue –. Le è morto tra le braccia un ragazzo di 36 anni che lottava da settimane. Gli ha stretto la mano in quegli ultimi attimi. E quel momento non lo dimenticherà mai". Forte la pressione psicologica alla quale sono sottoposti medici e infermieri. Ferite che porteranno a lungo nelle menti. "Facciamo di tutto per salvarli, e quando muoiono è una sconfitta generalizzata. Sono pazienti che muoiono in solitudine, lontano dai loro familiari, e noi diventiamo i loro affetti più stretti", aggiunge. Ma anche nei confronti della morte c’è un profondo sentimento di rispetto.
"In queste settimane ci siamo anche trovati a dare ai nostri malati l’estrema unzione – racconta Anna Lanceri, coordinatrice della Cardiologia Interventistica –. E prima che la salma venga portata fuori dalla stanza ci si riunisce per alcuni minuti di preghiera e di raccoglimento". Tanti gli occhi che si sono chiusi per sempre a causa del virus. Ma altrettanto numerosi e carichi di emozioni i momenti di gioia. "Come la recente festa di compleanno di un paziente che era giunto da un altro ospedale in condizioni critiche – prosegue –. Abbiamo festeggiato i suoi 64 anni con una torta e al posto della candelina abbiamo messo una penna. Una videochiamata con la moglie e con noi infermieri completamente bardati al suo fianco". Le lacrime si trattengono a stento quando riaffiorano i ricordi e racconti dei pazienti: di chi li chiama angeli, di chi cerca la loro mano e i loro occhi.
«Per noi è difficile ma anche per loro è pesante, dal punto di vista fisico e psicologico – aggiunge –. Sono lontani dai loro cari, hanno visto i vicini di letto morire". Spesso gli infermieri li accompagnano alla morte e quei momenti rimarranno indelebili nella loro mente. "Mentre una paziente stava morendo ho telefonato alla figlia mettendo il cellulare accanto all’anziana che, anche se a distanza, ha potuto salutarla – racconta Agnese Locurto, che gestisce la Chirurgia –. Abbiamo pianto insieme". Perché dietro a quelle maschere e a quelle tute ci sono uomini e donne, padri e madri che da settimane, come Michele e la sua compagna non vedono il figlio, o come Agnese non può abbracciare la figlia più piccola.
«Siamo affezionati ai nostri pazienti – aggiunge –. Per noi sono tutti uguali: i giovani e gli anziani, li assistiamo tutti con amore come se fossero i nostri familiari". Ma dall’inferno di Covid-19 si esce: lo sa bene Rita Quattrocchi, coordinatrice delle dimissioni protette. "Non posso dimenticare la storia di una signora di Bergamo giunta da noi in condizioni molto serie – racconta –. Si è salvata ma prima di rientrare a casa l’abbiamo dovuta mandare in una struttura. Il figlio non sapeva come ringraziarci e ci ha anche fatto una donazione". Il Policlinico ha poi messo a disposizione anche Villa Canesi, una struttura con sei alloggi nei pressi del nosocomio dove vengono inviati per la quarantena i pazienti clinicamente stabili e in attesa dell’ultimo tampone, dove viene garantito loro vitto e alloggio.