
Marcello Paparo, 48 anni, con il suo legale
Brugherio, 11 ottobre 2016 - "Sono stato assolto dall’accusa di essere un mafioso, ma mi stanno portando via tutto quello che ho guadagnato in 20 anni di lavoro. Ora vogliono confiscare la casa dove mio figlio abita con la compagna incinta e tre bambini, che resteranno in mezzo ad una strada. E dopo toccherà a casa mia". Non è ancora finita la telenovela giudiziaria lunga 7 anni per Marcello Paparo, l’imprenditore di 48 anni residente a Cologno Monzese, ma domiciliato a Brugherio, arrestato nel marzo 2009 perchè ritenuto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano il boss della ’ndrina dei Paparo di Isola di Capo Rizzuto in Calabria trapiantato in Lombardia.
Paparo è stato assolto dalla Giustizia penale dall’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, ma la Giustizia delle misure patrimoniali ha preso una strada diversa disponendo la confisca, ancor prima che arrivasse la sentenza definitiva, dei beni di cui è invece stato dichiarato il dissequestro.
"L’Agenzia del Demanio si è già presentata nell’abitazione di Paparo in via Curiel a Cologno Monzese dove vive il figlio intimando di liberarla perchè il 19 ottobre torneranno a confiscarla - spiega l’avvocato Silvia Germinara, che con i colleghi Amedeo Rizza e Eugenio Minniti sta seguendo i vari iter giudiziari - Erano già venuti per la casa di Paparo a Brugherio, ma abbiamo ottenuto una sospensiva della confisca con un ricorso al Tar. Ora aspettiamo l’udienza di appello per la richiesta di revoca che abbiamo presentato al Tribunale per le misure di prevenzione patrimoniali di Milano». Marcello Paparo punta il dito contro i due pesi e le due misure di due Giustizie che vanno ognuna per la propria strada. Secondo l’accusa, i Paparo avevano agito in stile mafioso anche in Brianza e nell’hinterland milanese allo scopo di insinuarsi nei grossi appalti di facchinaggio nei supermercati con il Consorzio Itaka di Brugherio e nei subappalti di movimento terra con la P&P di Cernusco sul Naviglio.
Ma in primo grado, il Tribunale di Monza li aveva assolti dall’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso e condannati a pene tra 6 e 2 anni di reclusione, disponendo per Marcello Paparo (condannato a 6 anni di reclusione, poi ridotti di 2 mesi con la sentenza definitiva per l’intervenuta prescrizione di reato, per detenzione illegale di armi, lesioni aggravate e violenza privata, in continuazione con un’altra condanna già avuta per armi nel 2005) anche l’immediato dissequestro di tutti i suoi beni. In appello i giudici avevano invece riconosciuto l’accusa di associazione mafiosa e raddoppiato le pene (Marcello Paparo a 12 anni e 7 mesi di reclusione) rimandando gli imputati in carcere.
La Corte di Cassazione ha invece annullato le condanne per associazione mafiosa, ritenendo gli elementi nei confronti dei Paparo non sufficientemente motivati e disponendo un altro processo d’appello, dove l’assoluzione per l’associazione mafiosa (e il dissequestro dei beni) è stata confermata. «Per il Tribunale per le misure di prevenzione invece la confisca dei beni è legittima perchè il patrimonio di Paparo è sproporzionato rispetto alla sua attività lavorativa - continua l’avvocato Germinara - Invece lo stesso consulente del Tribunale al processo di primo grado aveva dichiarato che il patrimonio derivava da contratti di appalto leciti».
«Il Consorzio Itaka che fatturava 3 milioni di euro al mese me l’hanno fatto fallire - conclude Marcello Paparo - Gli uffici e i mezzi di lavoro non esistono più. Io sono ancora sottoposto all’obbligo di dimora a Brugherio con la possibilità di andare a lavorare e sto cercando di ricominciare ad operare a Bergamo per allontanarmi da questa zona dove ormai il mio nome è ingiustamente infangato».