"Volevamo rapinarlo, non ucciderlo". Parlano i baby killer dello spacciatore

Interrogati i due ragazzini di 14 e 15 anni che hanno accoltellato Cristian Sebastiano, loro fornitore di cocaina La Procura dei Minori valuta quanto sia fondata la premeditazione, la difesa repinge questa ipotesi

Indagini e rilievi sul luogo dell'accoltellamento mortale

Indagini e rilievi sul luogo dell'accoltellamento mortale

Monza, 3 dicembre 2020 - «Cristian è venuto a fare amicizia al parchetto dove fumavamo le canne e ci ha proposto di provare la cocaina. Così ci ha trascinato nel tunnel della tossicodipendenza, probabilmente come è successo anche a lui quando aveva la nostra età". Procacciarsi tra i ragazzini i clienti che facciano il “salto di qualità” dalle droghe “leggere” a quelle degli adulti come un rituale che si ripete di generazione in generazione, portando gli assuntori minorenni a dover spacciare a loro volta per potersi permettere gli stupefacenti più costosi. E così via, in un tragico destino già segnato e senza ritorno.

É successo nel rione delle case popolari del quartiere San Rocco, alla periferia di Monza, dove vivevano sia il pusher Cristian Sebastiano, 42 anni, che i due baby killer di 14 e 15 anni che domenica l’hanno ucciso con venti coltellate. A raccontarlo è stato il ragazzino più piccolo, che ieri è stato interrogato dalla gip del Tribunale per i minorenni di Milano, Marina Zelante, nel corso dell’udienza di convalida del fermo che lo vede accusato di concorso in omicidio volontario premeditato e rapina insieme all’amico di un anno maggiore di lui. A rappresentare la pubblica accusa la pm della Procura dei minori milanese, Myriam Iacovello, affiancata anche dallo stesso procuratore Ciro Cascone, che ha posto personalmente alcune domande agli indagati, soprattutto per chiarire la loro posizione sulla contestata aggravante della premeditazione nel delitto.

La Procura vuole accertare se i due ragazzini siano andati dal pusher proprio con l’intenzione di ammazzarlo per punire Cristian di averli fatti cadere nella trappola della cocaina. Ipotesi basata sulla tesi accusatoria la testimonianza dell’amico dei due minorenni, a cui è stata fatta questa confidenza. Un’ipotesi contestata invece dai difensori degli indagati, gli avvocati Maurizio Bono e Renata D’Amico e dagli stessi ragazzini, secondo cui loro sono andati dal 42enne per rapinargli, sotto la minaccia del coltello (come hanno fatto), la cocaina che gli avevano chiesto e che hanno consumato dopo l’omicidio. Ma Cristian avrebbe iniziato ad urlare ripetutamente il nome del 14enne, spingendolo a colpirlo. Quando il pusher ha tentato di allontanarsi, il 15enne l’ha bloccato, permettendo al complice di raggiungerlo con altri ripetuti fendenti, tra cui quello mortale alla gola. La giudice si è riservata di decidere sulla convalida dei fermi e la conferma del carcere. Il 14enne deve rispondere anche di 600 grammi, tra marijuana e hascisc, che i carabinieri hanno trovato in casa a lui e al fratello 24enne, per il quale la gip di Monza ha già confermato il fermo dietro le sbarre.