"Mutilato da quel petardo, aspetto il trapianto"

Varesino di 23 anni ha perso entrambe le mani e gli avambracci: sono stato uno stupido. Attendo solo la chiamata dell’équipe di Del Bene

Migration

di Marco Galvani

"Se mi fermo davanti allo specchio e ripenso a quello che è successo mi dico che sono stato proprio stupido. Una leggerezza che mi ha distrutto le mani e sconvolto la vita". Filippo aveva 23 anni quando "è esploso un barattolo con dentro della polvere da sparo. Era il giorno prima di Capodanno del 2015". Si trovava nel sottotetto della casa in provincia di Varese in cui vive ancora oggi con i suoi genitori: "Non sono svenuto subito, ho avuto una lunga coscienza di quello che mi era successo fino a quando mi hanno sedato sull’elisoccorso".

L’inevitabile amputazione di entrambe le mani e parte degli avambracci, il coma farmacologico fino al risveglio: "La prima cosa che ho pensato è stata ‘ma dove mi trovo?’. Avevo i ricordi un po’ alterati, ma quando ho ripreso lucidità il trauma emotivo mi ha buttato nella disperazione".

Nulla poteva essere più come prima. Un diploma da ragioniere in tasca, Filippo fino a un anno prima dell’incidente aveva un suo negozio di prodotti biologici, ma "visto che gli affari erano sotto le mie aspettative l’ho venduto". A dicembre del 2015, poche settimane prima dell’incidente, per tenersi impegnato nell’attesa di rimettersi sul mercato aveva iniziato a fare il fattorino delle pizze.

Ma "dallo scoppio il lavoro è passato in secondo piano. La mia priorità era la salute, provare a rimettere insieme la mia vita". Così "mi sono informato per cercare di capire quali potessero essere le mie prospettive – racconta Filippo –. Cercando su internet ho visto l’intervento su Carla Mari e ho deciso che mi sarei messo in contatto con Massimo Del Bene, il chirurgo che aveva trapianto entrambe le mani. Prima, però, mi sono concentrato sulle protesi perché volevo riacquistare un minimo di autonomia nel più breve tempo possibile".

Alla prima visita al Centro protesi "i medici mi hanno detto che per loro l’importante era che riuscissi a tornare a mangiare da solo. E non è mica stato facile sentire quelle parole – confessa –. Ricordo che in quel momento mi sono detto ‘accidenti, sono messo così male?’. E invece ho deciso che avrei dovuto arrivare molto più in alto".

Il risultato è che "non solo sono in grado di mangiare da solo, ma ho ripreso la patente e mi vesto da solo. Certo – ammette Filippo –, con qualche piccolo trucco. Alle camicie mi faccio mettere il velcron al posto dei bottoni, un po’ come i vestiti di quelli che fanno striptease – ci scherza su –. Ma niente cravatte né scarpe con i lacci".

Nel frattempo, però, ha iniziato le visite con l’équipe dei microchirurghi del San Gerardo. Consapevole che "non potrò più tornare a fare canottaggio e nemmeno a suonare il pianoforte", ma con la convinzione che "con due mani vere potrei riuscire a fare molte più cose che con le protesi". Innanzitutto "mi manca la sensazione del contatto sulla pelle, il caldo, il freddo. E anche afferrare gli oggetti".

Dal giorno dell’incidente "ho dovuto tagliare di netto almeno la metà delle cose che facevo. Tutto ora deve essere alla portata delle mie abilità". Adesso, dopo un lungo percorso con i chirurghi e gli psicologi dell’équipe di Massimo Del Bene, è in attesa del trapianto: "A maggio 2019 ho iniziato l’allerta. La pandemia ha rallentato un po’ tutto, in questi due anni la mia vita si è adattata, ma sono convinto che il trapianto mi cambierà la vita – il sogno di Filippo –. Se ricevessi la chiamata tra 5 minuti? Beh, sarebbe una scossa forte, ma ne vale la pena".

Davanti agli occhi Filippo ha l’esempio di Carla Mari, casalinga di Gorla Minore che oggi è tornata a una nuova vita proprio grazie al trapianto di 12 anni fa: "A Filippo ho detto di avere tanta pazienza – le parole della signora Carla –. Con le protesi riprendi a fare tante cose, dopo il trapianto torni indietro, devi ripartire da capo, ma per arrivare molto più in alto. Anche se prima non lo puoi mai sapere".

Non lo sapeva neanche lei quando ha deciso di sottoporsi al trapianto. Nel 2007, a causa di una necrosi secondaria legata a una setticemia, i medici avevano dovuto amputarle mani e gambe per salvarle la vita: "Senza mani e senza gambe sono sempre la Carla di prima", aveva detto al marito Giovanni e ai figli. Prima di iniziare "con un po’ di incoscienza e coraggio" il percorso che le ha restituito due nuove mani. "Al risveglio ero carica di aspettative, speranze, sogni – ricorda – e molti li ho realizzati. Ho ripreso a lavorare la creta, posso accarezzare i miei nipotini, faccio il pane, la pasta. Mangio da sola, la firma resta un po’ un pasticcio e riesco a svitare il tappo delle bottiglie. Ma se non ci riesco, ci sono sempre i denti".