Il professore omicida e la sartina di Giussano

Nel 1971 all’oratorio l’orrendo delitto: un insegnante che si era già macchiato di un altro omicidio uccise a martellate una 16enne. Poi i sospetti sul "delitto della Cattolica": ma fu scagionato

La volante della polizia

La volante della polizia

Giussano (Monza e Brianza), 3 aprile 2022 - Un omicidio efferato. Il tentato omicidio di un ragazzino. E un vecchio delitto compiuto tredici anni prima. Addirittura, l’ombra di un serial killer.

Dalle vecchie cronache della Brianza emerge una vicenda a tinte fosche, da far venire i brividi. I fatti risalgono al 7 settembre 1971 a Giussano, quando un professore che insegna in diversi istituti religiosi e vive in paese ospite del parroco uccide una sartina di 16 anni, Anna Danila, colpendola con una sbarra lunga trenta centimetri piena di cemento e poi soffocandola con un sacchetto di plastica. Il professore si chiama Manlio I., ha 42 anni e un passato a dir poco burrascoso.

Che la sua mente vacillasse lo si era già scoperto nel 1949, quando aveva strangolato a mani nude a San Salvatore, in provincia di Foggia, un giovane allievo a cui dava ripetizioni, un 13enne. Un delitto avvenuto all’interno di una struttura ecclesiastica, raccontano le cronache. Un giovane allievo da cui era attratto sessualmente, ma che aveva respinto le sue avance. Dopo quel delitto, l’uomo era stato condannato a 13 anni di reclusione, ne aveva trascorsi 9 in manicomio, ma in seguito a condoni e amnistie era uscito.

Come ospite in istituti religiosi, nel convitto San Domenico di Fiesole, vicino a Firenze, si era guadagnato una certa fiducia e ottime referenze come persona di specchiata morale. Aveva ricominciato a insegnare, sbarcando il lunario dando ripetizioni. Ma i demoni che vivevano nella sua mente non avevano smesso di tormentarlo. Proprio a Fiesole aveva conosciuto un ragazzino di 15 anni, se ne era invaghito e aveva tentato di violentarlo, ma la vittima era riuscita a sfuggire pur rimediando ferite al petto e a un braccio inferte con un paio di forbici. Le vicenda era finita così.

Ma c’è una grossa ombra, che conduce fino alla sartina: il ragazzino era suo fratello. Manlio I. si era trasferito a Giussano e le si era avvicinato, ricoprendola di regali, forse invaghito anche di lei col desiderio di intrecciare una relazione. Il 7 settembre del 1971, le cose erano precipitate. Il professore aveva tentato di violentare la ragazzina in oratorio. E, di fronte alle sue resistenze, aveva reagito ancora una volta con violenza inaudita. Prima l’aveva colpita tre volte con una mazza da trenta chili. Poi, quando la ragazzina era stramazzata a terra tramortita, le aveva avvolto la testa in un sacchetto e l’aveva soffocata. Manlio si era poi dileguato ma era stato arrestato qualche giorno dopo a Trento, dove aveva tentato di nascondersi.

Il processo si era rivelato più tortuoso del previsto. L’imputato aveva dato in escandescenze, abbandonandosi a una serie di stranezze che avevano messo in dubbio la sua sanità mentale. Alla prima udienza, dopo aver insultato i fotografi, si era acceso una sigaretta in aula. "Ma tu chi sei?" aveva risposto rabbioso al giudice che lo redarguiva, poi aveva estratto il pacchetto e aveva offerto sigarette ai giudici popolari. Finché aveva urlato all’indirizzo del giudice: "Lo si chi sei, tu sei lord Benton, ti ho visto ieri sera in televisione, io sono il duca di York, ho appena parlato con la Regina Elisabetta". E al fotografo: "Tu stasera sarai giustiziato da un plotone di esecuzione". Il processo era stato congelato e l’imputato era stato rinchiuso per alcuni mesi in manicomio, anche se parecchi avevano nutrito il dubbio che si fosse trattato solo di una messinscena. Alla fine, i giudici della Corte di Assise di Milano, sulla scorta di una perizia psichiatrica, lo avevano dichiarato incapace di intendere e di volere e l’imputato era stato trasferito nel manicomio di Castiglione delle Stiviere, mentre il procedimento penale era stato sospeso in attesa che l’uomo fosse reputato in grado di stare a giudizio.

Il suo nome era però tornato sui giornali qualche tempo dopo. Su di lui si erano infatti concentrati i sospetti per un fatto di sangue che aveva fatto scalpore: il cosiddetto “delitto della Cattolica”. In un bagno femminile dell’università milanese un sabato mattina, il 24 luglio del 1971, Simonetta Ferrero, impiegata di 26 anni, ex studentessa proprio della Cattolica in procinto di partire per le vacanze in Corsica, era stata trovata massacrata con 42 coltellate.

A trovarla era stato un seminarista di passaggio, che aveva udito uno scroscio incessante d’acqua nel bagno delle ragazze: andato a controllare, si era trovato davanti a una scena da film dell’orrore. Per quel delitto, erano state ascoltate più di trecento persone, senza però trovare alcuna traccia. Il giallo era rimasto irrisolto, al fianco di altri delitti (almeno 9) che fra il 1970 e il 1975 avevano funestato Milano e per i quali è stato sospettato che fosse in circolazione addirittura un serial killer.

Nel corso delle indagini, gli investigatori avevano preso in considerazione anche la figura di Manlio I.: aveva precedenti per crimini a sfondo sessuale, fra cui due delitti già sul groppone, era stato visto più volte alla Cattolica per piccole incombenze per conto degli istituti religiosi con i quali collaborava. Frequentava ambienti cattolici: ambienti come quelli in cui si erano consumati i due delitti a lui attribuiti e persino quello tentato.

Alla fine, però, le indagini non avevano trovato riscontri. E il professore era stato scagionato.