Metodo Ponzi, resa dei conti per la frode da venti milioni

In sei patteggiano pene da 2 a 4 anni, altri 20 vengono rinviati a giudizio. Con falsi contratti di investimento erano riusciti a truffare oltre duemila persone

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di Stefania Totaro

Una mezza dozzina di patteggiamenti a pene dai 2 ai 4 anni di reclusione e un’altra ventina di imputati rinviati a giudizio. Si è conclusa così l’udienza preliminare davanti al giudice del Tribunale di Monza Marco Formentin per la presunta maxi frode finanziaria da 20 milioni di euro, messa in atto con fittizi contratti di investimento pubblicizzati sui social e con maxi eventi mediatici e che avrebbe mietuto oltre duemila vittime. Gli imputati dovevano rispondere a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata all’abusivismo finanziario, alla truffa, all’autoriciclaggio e alla bancarotta fraudolenta. L’anno scorso gli uomini del Nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza di Milano, coordinati dalla Procura di Monza (titolare delle indagini in quanto le prime società del presunto sistema truffaldino avevano sede in provincia di Monza) avevano eseguito otto arresti, sette in carcere e uno ai domiciliari. Sotto la lente degli inquirenti il cosiddetto metodo Ponzi, quello del marketing piramidale, che prende il nome da un immigrato italiano negli Stati Uniti che arrivò a raccogliere 15 milioni di dollari negli anni Venti truffando 400mila persone. Gli imputati hanno utilizzato quattro società, tra cui il Nidalina Group, con cui hanno proposto e stipulato falsi contratti di compravendita o affitto e prodotti finanziari con promesse di alti rendimenti ai clienti. Questi venivano ripagati con il denaro proveniente dagli investitori successivi. Il tutto tra il 2016 e il 2018, per cifre dai 5mila ai 600mila euro a investitore. Finché una carta ha fatto crollare tutto il castello.

Sulla vicenda hanno indagato precedentemente le Procure di Milano ed Arezzo, che poi hanno fatto confluire i loro fascicoli per competenza a Monza, dove il pm Michele Trianni ha poi presentato per tutti gli imputati le richieste di rinvio a giudizio. La vicenda, balzata alle cronache nazionali per l’entità della presunta truffa ai danni di ignari investitori, è diventata nota come il caso “Nidalina Group“ ma a fallire, oltre a questa società, risulta anche la Comelet srl. La difesa degli imputati che saranno processati a marzo dal Tribunale di Monza punta sulla contestazione di esercizio abusivo della professione finanziaria, sostenendo che gli operatori che hanno offerto gli investimenti su larga scala lo hanno fatto in modo perfettamente regolare, al di là della necessità di dover essere iscritti o meno alla Consob. Per quanto riguarda l’ipotesi di truffa, secondo gli imputati si trattava di investimenti già presentati come ad alto rischio, ma comunque accettati da una valanga di investitori.