Lo “sconto“ ai cugini Cristello: "Niente prove del metodo mafioso"

L’Appello bis nega l’aggravante dell’associazione a delinquere e conferma le condanne fino a 14 anni

Lo “sconto“ ai cugini Cristello: "Niente prove del metodo mafioso"

Lo “sconto“ ai cugini Cristello: "Niente prove del metodo mafioso"

Niente aggravante dell’associazione di stampo mafioso per gli imputati dell’ultima grossa operazione ritenuta anche l’ennesimo colpo contro la ’ndrangheta in Brianza. Lo ha stabilito il processo di appello bis sull’indagine della Direzione distrettuale antimafia culminata nell’operazione Freccia, eseguita nel giugno 2020 dai carabinieri di Monza e tornata a riaccendere il faro su alcune famiglie originarie di Vibo Valentia accusate di gestire le cosche radicate a Seregno dopo la scure dell’inchiesta Infinito. Nel processo con il rito abbreviato il gup del Tribunale di Milano aveva emesso sedici condanne fino a 14 anni di reclusione, ma non per associazione di stampo mafioso, mentre l’accusa aveva chiesto condanne fino a 20 anni di carcere, anche per associazione a delinquere di stampo mafioso per i cugini Umberto e Carmelo Cristello e Luca Vacca. In appello, invece, la Corte milanese aveva ribaltato la sentenza, riconoscendo la sussistenza dell’associazione mafiosa e portando a 17 anni, 9 mesi e 10 giorni la condanna a Umberto Cristello, 9 anni al cugino Carmelo e 9 anni e 5 mesi a Luca Vacca. E accogliendo la tesi della Procura secondo cui bastava pronunciare il nome Cristello per fare intendere alle vittime con chi avevano a che fare. E se non fosse stato sufficiente, intervenivano intimidazioni e violenze, precedute da tentativi di mediazioni che spesso gli uomini di ‘ndrangheta utilizzano per prendere contatto con chi vogliono assoggettare.

Poi però, su ricorso degli imputati, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di appello per un processo bis, che ora ha confermato la prima sentenza. Non è provato che gli uomini di Umberto Cristello (fratello di Rocco, ucciso nel 2008 a colpi di pistola sotto casa a Verano) "si avvalevano della forza di intimidazione derivante dalla sua notoria appartenenza alla ‘ndrangheta e della condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche".