
Dopo avere aperto otto botteghe all’ombra della Madonnina e creato un brand da 70-80 dipendenti in continua crescita il re del lievito madre sbarca in Brianza con un maxi-laboratorio.
Se la vita è un impasto, la sua è fatta di farine e di lievito madre ma anche di esperienze, di rimandi, di ricordi. E di legami con la terra in cui Davide Longoni era nato la sera del 22 ottobre ’73, segno Bilancia, venuto al mondo a Carate Brianza, dove vivevano e vivono ancora mamma Gabriella, papà Angelo e il fratello Valeriano.
E dove il teorico della panificazione connessa alla filiera corta, ha adesso deciso di tornare ad investire pur avendo costruito la propria vita professionale nella metropoli che lui ama ripetutamente citare, scomodando l’aforisma dialettale che da giovane ascoltava tra Costa Lambro e Realdino: "Chi volta il fondoschiena a Milano volta le spalle al pane".
La notizia è delle ultime ore ed è di quelle che pesano, almeno quanto le otto botteghe che il capostipite italiano della “pan- rivoluzione” ha già aperto all’ombra della Madonnina. E quanto i 30 ettari sparsi tra Chiaravalle e l’Abruzzo, dove coltiva i grani antichi e i cereali con cui poi crea le sue pagnotte. Davide ha deciso di avviare un maxi-laboratorio di 600 metri quadrati proprio nella sua Carate Brianza, esattamente nell’area ex-Formenti, avendo la necessità di espandersi e non potendo contare sulle sole strutture produttive che possiede in via Tertulliano, alla periferia sud-est di Milano.
Nella vecchia fabbrica di macchinari per la tessitura Longoni concentrerà l’intera produzione di grandi lievitati, di panettoni e di colombe ma anche di “Shokupan”, pani d’ispirazione giapponese perfetti per le farciture di toast gourmet, quelli che Davide, assieme al socio Giacomo Pavesi, ha appena deciso di proporre in un locale milanese di nome “Totost” dalle parti di corso XXII Marzo. Dunque il “padre” della panificazione moderna torna a fare progetti nella sua Brianza. Dove per la verità non ha mai smesso di tenere vivi legami.
Lo racconta lui stesso. Ricordando la sua infanzia da bravo chierichetto e la sua adolescenza spettinata (testuale: "l’età della stupidera") spesa tra il motorino, la compagnia nella piazza di Costa Lambro e le scorribande ovunque, mentre papà e mamma gestivano, con zio Paolo, un minimarket “SuperEtte” e un forno per la produzione di michette, pugliesi e francesine. Citando con affetto gli amici che ha ancora modo d’incontrare e i collaboratori “brianzoli” che vanta nel suo ricco team (tra gli altri, Nadia Giussani, di Giussano, che gestisce 3 suoi negozi). E dando il giusto valore alle scuole frequentate: le Elementari a Costa Lambro, le Medie al Valtorta di Carate, le superiori al Primo Levi di Seregno, quindi l’Università, facoltà di Lettere e Filosofia, la laurea in Storia Economica e i 4 anni di occupazione in un’importante agenzia fotografica. E il pane? Lontano dai radar, almeno fino ai 27-28 anni, quando i parenti, all’attività di Carate, avevano nel frattempo aggiunto quella di Monza.
Conversione tardiva, la sua. Comunque illuminante. Davide che si convince: forse la vita migliore è proprio quella fino ad allora poco considerata, tra impasti, farine e cotture. Davide che segue corsi, si fa conoscere tra fiere e mercati, raccoglie consensi proponendo pani di grossa taglia con farine bio macinate come i gettonatissimi “Ai cereali antichi” e “Tumminia”. E Davide che scommette sulla grande città, agevolato dal piglio imprenditoriale di Tatiana, la sua compagna, anche lei brianzola (di Seveso) che lui definisce "il vero direttore generale" di un brand da 70-80 dipendenti che sta crescendo in modo esponenziale. Insomma, la Brianza c’è sempre. Perché se Tatiana e Davide lavorano a Milano, hanno la loro casa a Seregno.
Frequentano i locali della zona come il Pomiroeu di Giancarlo Morelli e il Piana di Gilberto Farina. E adesso, hanno appunto deciso di fare di Carate uno strategico hub aziendale affidandolo al fidatissimo Mauro Iannantuoni che è di Meda. Con tanto di promessa aggiuntiva: perché è vero, quello nella ex-Formenti funzionerà come centro di produzione, ma stanno pensando di vendere i loro lievitati anche al pubblico, specie i cosiddetti “Brutti ma buoni” con qualche difetto di lavorazione, ovviamente a prezzo ridotto.
A questo punto, la domanda arriva istintiva: "A quando un vero negozio Longoni lungo le rive del Lambro?". La sua risposta è evasiva ma il suo sorriso di congedo può bastare. Con un tipo così, mai dire mai.