ALESSANDRO CRISAFULLI
Cronaca

La Liberazione dalle mafie. Don Ciotti in piazza Riboldi:: "Sporchiamoci le mani"

Parole forti del fondatore di Libera alla cerimonia dedicata al primo vescovo anti Camorra "Lo conobbi nel 1976 e non ho mai dimenticato la sua voce forte di denuncia e speranza".

"Serve una coscienza collettiva, e un’azione comune, per debellare la peste mafiosa. Questa deve essere la nostra Liberazione oggi".

Sono risuonate forti, chiare, accalorate, come suo solito, le parole di don Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele e dell’associazione Libera, ospite straordinario, ieri mattina, alla manifestazione di intitolazione di una piazza di Triuggio a don Antonio Riboldi. Il vescovo nato proprio qui, a Tregasio, nel 1923, e poi trasferitosi al Sud, si era battuto contrastare la camorra.

Un evento molto partecipato, con oltre 350 persone di ogni generazione, in una piazzetta, di fronte alla casa natale, allestita a festa con i tricolori e allietata dalle note della banda. "È stato un vescovo fatto di popolo - lo ha definito don Ciotti, che ne ha raccolto l’eredità nella lotta strenua contro tutte le forme di mafia e corruzione -, lo conobbi nel 1976 e non ho mai dimenticato la sua voce forte di denuncia e sperenza. Il suo motto episcopale era ‘aprirò nel deserto una strada’, di strada ne ha fatta tanta e ne ha fatta fare parecchia a molte persone".

Un discorso potente, quello di don Ciotti, che nel ricordare la figura del sacerdote brianzolo ha rilanciato tutti i suoi allarmi e appelli per non abbassare la guardia: "È grazie a lui se la chiesa ha iniziato a non tacere, a schierarsi - ha detto -. Don Antonio si è sporcato le mani ed è stato un grande trascinatore di giovani. ‘Qui il fascismo si chiama camorra’ disse. E noi dobbiamo trasformare la memoria del passato e la sua in un’etica del presente, della condivisione e della responsabilità". In un’ottica del fare, dell’agire, ha sottolineato a più riprese: "La memoria deve tradursi tutti i giorni in impegno per ottenere pane, pace e libertà per tutti. Oggi purtroppo ci sono tante situazioni di libertà limitata, solo sulla carta, per questo occorre un vero cambiamento: contro censure, dispotismo, nazionalismi. E contro le mafie: come è possibile che è 170 anni che parliamo di mafie? Occhio: oggi sono più forti di prima. Sono tecnologiche, globalizzate, inserite nella società. Sparano meno, ma sono più forti. C’è un crimine normalizzato, che dobbiamo combattere e vincere tutti insieme". Era il 17 dicembre 1982, in diecimila contro la camorra ad Ottaviano, in provincia di Napoli, “regno“ del boss Cutolo. Don Riboldi così si rivolse agli studenti: "Questo giorno deve essere il nostro 25 aprile, perché stiamo combattendo una guerra di liberazione, così come nel 1945. La nostra è una battaglia senza armi o violenze, perché crediamo nell’uomo e nella pace".

Parole che sono state ricordate anche ieri. Alla manifestazione hanno preso parte anche don Vito Nardin, che con don Riboldi condivise la dura esperienza nel Belice terremotato, Valerio D’Ippolito, referente di Libera per Monza-Brianza, don Damiano Selle, parroco della comunità Sacro Cuore, e il giornalista del Mattino di Napoli, Pietro Perone, autore del libro “Don Riboldi, il coraggio tradito“: "Quando abbiamo presentato il libro a Triuggio, con il sindaco Pietro Giovanni Cicardi, ci lasciammo con l’impegno di rivederci per l’intitolazione di una strada al vescovo che insegnò a più generazioni di giovani ad avere coraggio.

Il contraltare degli esempi negativi che sovente si propongono ai giovani attraverso fiction e brani musicali. È inoltre significativa la decisione del Comune di Triuggio, oggi che le mafie sono un’emergenza anche al Nord, dove i clan investono ingenti somme di danaro, frutto dei traffici illeciti". "Oggi mettiamo un segno che ha bisogno di continuare a vivere - ha evidenziato D’Ippolito - facendo squadra tra istituzioni, associazioni, scuole, parrocchie. Basta con la bolla consolatoria che la mafia è altrove. La mafia è qui. Ci sono segnali preoccupanti, dobbiamo unirci e nessuno deve sentirsi solo".