MARCO GALVANI
Cronaca

La Ascot brianzola, tra business e nostalgia

Vittorio Oriani dell’Associazione nazionale allenatori galoppo lancia l’idea di portare al Parco di Monza un grosso centro di allevamento

di Marco Galvani

Newmarket in Inghilterra come Deauville in Francia sono posti nati per l’ippica. Ma hanno al tempo stesso una vocazione turistica. Sono centri di villeggiatura. Eppure "non potranno mai avere la stessa magia di Monza. Perché qui siamo in un Parco storico meraviglioso. E oggi i Comuni proprietari dovrebbe tornare a interessarsene perché permetterebbe di sistemare tutte le scuderie diroccate e di creare un nuova economia".

Vittorio Oriani, dell’Associazione nazionale allenatori galoppo, al Parco di Monza è di casa. Anche lui partecipò all’ultimo Cross Country nel 1976. "Quella domenica ci furono sette gare organizzate dall’ex Unire - ricorda -. Io feci una corsa in piano. Alla seconda dovemmo sospendere tutto perché era arrivata talmente tanta gente che era stato necessario organizzare un cordone di persone per mettere in sicurezza il campo di gara". Fu un successo. I commissari chiamarono gli organizzatori proponendo loro un incontro per aumentare il numero di gare all’ippodromo di Monza. Il resto della storia fa parte anche della cronaca di quegli anni. Quattro incendi, di origine dolosa, tra il 1987 e il 1990, distrussero le tribune e mandarono in fumo un progetto che, invece, sembrava potesse davvero avere un futuro. "Stiamo parlando di un periodo in cui per portare un cavallo all’ippodromo di Milano c’era una lista d’attesa perché non c’erano box. E Monza poteva essere una valvola di sfogo". Oggi Oriani cammina in mezzo al prato e tra gli alberi che ormai hanno cancellato il vecchio ippodromo del Mirabello. Era la Ascot italiana. Per lo stile liberty delle sue due tribune in legno e per il richiamo alla Belle Epoque. Progettato da Paolo Vietti Violi, l’architetto che ha firmato i più famosi ippodromi italiani, da Roma Capannelle a Merano, dal Trotter di Milano fino a impianti in India e Africa. Sulle piste di Monza (un anello di 1.800 e un altro di 2.200 metri), davanti alle tribune da 1.500 hanno gareggiato i fratelli Piero e Raimondo D’Inzeo e Graziano Mancinelli oltre al regista Luchino Visconti, che prima di darsi al cinema fu fantino, allenatore e allevatore. L’ippodromo del Mirabello era il punto d’incontro fra l’aristocrazia e l’impresa lombarda. E, in un certo senso, potrebbe anche tornare a esserlo. Riattivare un’economia che potrebbe fare bene a tutti. Ma non con un ippodromo. "Un centro di allenamento - chiarisce Oriani - che potrebbe avere un ovale di 1.600 metri realizzato magari semplicemente spostando a lato alcuni degli alberi piantati nel tempo in modo tale da creare una sorta di recinto naturale". Proprio come quando una volta c’erano le siepi a fare da cornice alla pista di sabbia. E oltretutto "avrebbe un impatto ambientale pressoché nullo dal momento che un centro di allenamento non ha bisogno di tribune né di strutture per l’insellaggio - puntualizza -. Senza dimenticare la grande economia che potrebbe ruotarci attorno". "Stiamo parlando di una zona in cui il terreno è perfetto per questo tipo di attività - continua Oriani -. Perché una pista non è soltanto una striscia di sabbia, qui c’è un fondo ottimale". E per l’erba, "beh, i cavalli non galoppano mica tutti i giorni sull’erba, ma ci vuole comunque un impegno per mantenerla e curarla. Dev’essere un biliardo, come si dice in gergo". La sabbia, invece, basta tirarla con un trattore. A parte, poi, un tondino per il riscaldamento del cavallo prima di andare in pista, non servirebbe altro. Anche perché "qui è già pieno di scuderie, la maggior parte abbandonate - l’amarezza di Oriani -. Qui potrebbero benissimo essere ospitati 250-300 cavalli". Un’opportunità anche economica, se si pensa che oggi un box a Milano costa circa 250 euro al mese soltanto di affitto. Un centro di allenamento significa alimentare la filiera di chi vende cereali, paglia, fieno, i veterinari, gli allevatori e gli allenatori. E poi c’è chi accudisce quotidianamente i cavalli: "Diciamo che serve una persona per un cavallo e mezzo". Economia. Senza nulla togliere al Parco e ai suoi visitatori: "Il cavallo da corsa d’estate lavora soltanto la mattina, dalle 6 alle 10. In inverno, dalle 7 alle 13. A mezzogiorno le piste chiudono, 6 giorni su 7. E comunque non sarebbe come un ippodromo che apre per qualche gara all’anno, ma poi resta inaccessibile, portando più disagio che benefici a chi passeggia nel Parco. Il centro di allenamento, invece, sarebbe una realtà viva tutto l’anno. Attorno alla quale costruire non soltanto un’attività sportiva, ma anche storico-culturale e museale". Certo, "per poter aprire un mercato, che comunque è in crisi, dobbiamo avere le condizioni per poterlo fare - mette i puntini Oriani -. Ma quando in Borsa un titolo si abbassa, c’è sempre qualcuno che aspetta il momento giusto per saltargli addosso. Bene, questo è il momento".