DARIO CRIPPA
Cronaca

Imprigionato in città. Pierangelo Bolis sequestrato a 17 anni e tenuto in una baracca

La stagione dei rapimenti in Lombardia arrivò fino a Monza. La vittima restò nel covo al confine con Cinisello per 20 giorni. I banditi ottennero 400 milioni e tentarono di reinvestirli in Australia.

Imprigionato in città. Pierangelo Bolis sequestrato a 17 anni e tenuto in una baracca

Imprigionato in città. Pierangelo Bolis sequestrato a 17 anni e tenuto in una baracca

Con la Legge numero 575 del 31 maggio 1965, l’istituto del soggiorno obbligato viene esteso a chi è indiziato di appartenere ad associazioni mafiose. L’obiettivo sarebbe quello di allontanarli dal contesto di origine e inserirli in realtà diverse, ritenute immuni rispetto al fenomeno mafioso. Non sarà così. La scelta si rivela controproducente. Decine di esponenti di mafia e ‘ndrangheta si ritrovano al Nord. E ristrutturano le cellule delle mafie nel nuovo territorio. Colonizzandolo. Secondo lo studioso Enzo Ciconte, uno dei massimi esperti di criminalità organizzata, il soggiorno obbligato fu tra le cause che determinarono l’arrivo dei mafiosi nel centro-nord. Senza peraltro far sparire la mafia dal Sud. In Lombardia tra il 1961 e il 1972 vengono confinati 372 sospetti mafiosi.

In Lombardia, secondo alcuni studi riportati dai giornali, "è la provincia di Bergamo a contare il maggior numero di soggiornanti obbligati, ben 6.146". Soprattutto per quanto riguarda la ‘ndrangheta, i piccoli centri sono i luoghi preferiti per ricostituire i clan. La ricchezza del territorio suggerisce una nuova fiorente industria: quella dei sequestri di persona. Il boss Luciano Liggio è considerato il loro primo organizzatore. E quando la mafia decide di tirarsi indietro e reinvestire il denaro nel traffico di sostanza stupefacenti, la ‘ndrangheta è pronta a subentrare. Dall’inizio del 1969 al 1998 sono 672 i sequestri a scopo di estorsione, per un totale di 694 persone coinvolte. Un’industria dei sequestri: la Lombardia, con 158 casi, è la regione più colpita dal fenomeno. Uno dei casi più eclatanti, che va a unire il territorio bergamasco e quello brianzolo, va in scena il 16 gennaio 1974. La vittima è Pierangelo Bolis, un ragazzo di 17 anni. I sequestratori lo sorprendono al mattino, mentre sta andando a prendere il treno per andare a scuola. Suo padre Angelo è un noto industriale di Ponte San Pietro, piccolo paesino della Bergamasca. Possiede un nastrificio. La Lombardia è ancora sotto choc. Un altro sequestro di un giovanissimo, Mirko Panattoni, una bambino di 8 anni, era avvenuto pochi mesi prima ed era durato 18 giorni. Pierangelo Bolis rimane in mano ai rapitori venti giorni, prigioniero in una baracca in un campo fra Monza e Cinisello Balsamo, anche se restò sempre il dubbio di una settimana trascorsa in un tugurio sull’Aspromonte.

Il papà decide di pagare il riscatto: mezzo miliardo di lire. Il legale della famiglia si presenta il 29 gennaio dove gli hanno detto di andare i rapitori, sotto il primo cavalcavia dell’autostrada Milano-Bergamo con una prima tranche da 250 milioni. La seconda “rata” la porta nello stesso posto la notte del 4 febbraio. Il riscatto è pagato. E puntualmente, due giorni più tardi,verso l’una di notte i banditi rilasciano in libertà il loro ostaggio. Al confine fra Monza e Cinisello, alle spalle di un automercato. Pierangelo racconterà che probabilmente i sequestratori erano meridionali, perché durante la prigionia, pur incappucciato, aveva sentito arrivare dalla cucina il profumo di origano: una spezia che al Nord all’epoca era poco utilizzata. Le indagini porteranno all’arresto di tutti i responsabili. Uno era stato già arrestato, casualmente, mentre Pierangelo Bolis era ancora prigioniero: era l’uomo incaricato di tenere i rapporti con la famiglia del ragazzo rapito. Il suo arresto a Rapallo non aveva modificato però i piani dei sequestratori e i successivi contatti con la famiglia Bolis erano stati tenuti da un altro personaggio. A tradire la banda pare fosse stato l’improvviso aumento del tenore di vita di alcuni suoi membri. Gli investigatori scoprono che dietro il sequestro c’erano le ‘ndrine di Platì (Barbaro, Sergi e Perre) che contando sull’appoggio di parenti e compaesani residenti al nord, oltre che della malavita locale, avevano costruito una rete fittissima di agganci e protezioni. Il sequestro era stato ideato fra Platì e Buccinasco, nell’hinterland milanese, ribattezzata "la Platì del Nord".

Qui si incontravano alcuni pregiudicati reggini “confinati” a Bergamo. Uno, che abitava proprio di fronte alla villa della famiglia Bolis, aveva suggerito l’obiettivo, ben conosciuto, dato che nel nastrificio lavoravano anche la moglie e uno dei suoi parenti. Spicca la figura di Domenico Barbaro detto l’Australiano, perché negli anni ‘50 si era trasferito ad Adelaide, venendo poi espulso come persona non gradita. A cose fatte, è lui a occuparsi di ripulire il grosso del malloppo e infatti, nel 1974, ottenuto un permesso dal Governo australiano per andare a trovare la madre gravemente malata e ancora residente ad Adelaide, parte con una valigia piena di soldi: 400 milioni di lire, che va a investire nella coltivazione di marijuana. Troppi soldi per un figlio che andava a trovare la mamma. I carabinieri lo arrestano una settimana dopo il suo rientro in Italia e cominciano a indagare per scoprire chi era entrato in azione a Ponte San Pietro a gennaio. Prendono tutti. Sette imputati per concorso in sequestro di persona a scopo di estorsione. Verranno condannati a pene fino a 15 anni di reclusione.