C’è il pensionato che, per passare un pomeriggio diverso prende la batea e si posiziona sulle rive del Ticino alla ricerca delle minuscole pagliuzze aurifere. Ma la corsa all’oro ha travolto pure chi ritiene, con ottimismo, di aver trovato una nuova, strana, remunerativa professione. "Già una decina di anni fa – specifica Gigi Conti – sui fiumi vedevo gente che non faceva parte del nostro ambiente". La presenza dell’oro nel Nord Italia è del resto testimoniata anche dai testi antichi. Dagli scritti di Plinio il Vecchio - viene spiegato in un opuscolo pubblicato dal Gruppo Avis Mineralogia-Speleologia di Bologna - si desume che circa 30mila schiavi si dedicassero alla sua estrazione nelle aree alluvionali e moreniche nell’attuale Vercellese. Ne sono testimoni le grandi discariche ancora visibili nella zona. Ai giorni nostri tutto contribuisce comunque ad alimentare fantastiche suggestioni: secondo alcuni il Monte Rosa custodirebbe filoni auriferi lunghi fino a 20 chilometri. Ma per ora, ovviamente, in Italia non c’è stata nessuna febbre dell’oro, simile a quella che nel 1897 si scatenò in Alaska lungo le rive del Klondike, affluente del fiume Yukon. Di pepite da favola trovate in Padania, per ora, nessuna traccia. Ma è dimostrato come nel bacino del Po scorrano alcuni corsi d’acqua “ricchi“, come Ticino, Elvo, Cervo, Dora Baltea e Dora Riparia. Ma pure il Lambro potrebbe regalare qualche sorpresina a chi sapesse maneggiare con abilità la batea, soprannominata anche padella. "In tutta Italia – aggiunge Conti – i cercatori seri saranno un centinaio".
CronacaIl tesoretto del Lambro. Le sorprese sotto casa