Il partigiano mutilato. Enrico Bracesco più forte della sventura nel lager degli orrori

L’operaio perse la gamba mentre portava le armi ai compagni. Nella trattoria di famiglia la squadra di calcio segreta dei partigiani. La figlia minore è testimone nelle scuole della lotta al fascismo.

Il partigiano mutilato. Enrico Bracesco più forte della sventura nel lager degli orrori

Il partigiano mutilato. Enrico Bracesco più forte della sventura nel lager degli orrori

Parte anche lui dal Binario 21. È diretto, assieme a tanti altri detenuti, ai campi di sterminio. Uno dei prigionieri è un sacerdote partigiano, si chiama don Camillo Valota e nel 1965, oltre trent’anni anni più tardi, sopravvissuto all’inferno di Dachau, verrà apposta dalla Francia, dove era missionario in miniera, a celebrare il matrimonio della figlia di quel compagno di sventura. Enrico Bracesco nasce a Monza il 10 aprile 1910. Operaio metalmeccanico, è capo squadra attrezzista alla Quinta sezione della Breda, la fabbrica siderurgica di Sesto San Giovanni da cui durante la seconda guerra mondiale uscivano anche le armi per l’esercito al fronte. Ma oltre a lavorare di giorno alla Breda, di notte Enrico Bracesco conduce una seconda vita. Clandestina, con i partigiani.

Antifascisti sono anche i fratelli maggiori, Carlo e Luigi. Anzi, proprio la trattoria di famiglia in via Manara a Monza fa da cerniera di collegamento fra le fabbriche di Sesto San Giovanni e le brigate Garibaldine sulle montagne. Come copertura per scambiarsi informazioni, viene anche messa in piedi una squadretta di calcio. Enrico è l’armiere dei Gap. Non è una vita semplice, la sua, ha due figli piccoli, Luigi, di sei anni, e Milena, di un anno e mezzo e la moglie Maria è preoccupata: "Mi farai rimanere vedova", gli dice spesso. Nel marzo del 1943 le cose in Italia, sfiancata da una sanguinosa guerra, si muovono. L’antifascismo si diffonde e iniziano gli scioperi. Bracesco ha 32 anni quando in seguito a uno di questi scioperi, di cui è fra i promotori, la polizia viene ad arrestarlo. Uscito dal processo con una condanna tutto sommato lieve, cinque mesi dietro le sbarre e un anno con la condizionale in quanto "colpevole di abbandono del servizio" (durante il fascismo il termine “sciopero” era stato abolito), la Breda lo licenzia, anche se poi finirà col riassumerlo. Il fascismo ha le ore contate ormai. Il 25 luglio Mussolini viene deposto. L’8 settembre viene firmato l’armistizio. In Italia è il caos. I Tedeschi da alleati diventano nemici. Il 4 novembre Bracesco è a Sesto San Giovanni con un camioncino carico di mitra da portare a Muggiò. Si tratta di armi che i militari in fuga dopo l’armistizio avevano sotterrato nel cortile della scuola Ugo Foscolo di Monza, ma delle quali i partigiani erano riusciti a impadronirsi nonostante l’edificio fosse stato occupato dai repubblichini.

Sono tante armi, 72 mitra e 2 mitragliatrici, e Bracesco ha l’incarico di distribuirle. Dopo l’ultima consegna, lungo il curvone tra Cinisello e lo stabilimento staccato della Breda alla “Taccona”, il suo camioncino però si rovescia. Enrico Bracesco viene portato all’ospedale di Monza, ma la sua gamba è spacciata. Rimasta maciullata sotto il camioncino, i medici sono costretti ad amputarla. Enrico però non molla. Sarà il primo partigiano mutilato. Una volta tornato nella sua casa a Monza, in attesa della protesi per la gamba amputata, continua a mantenere i collegamenti con la Resistenza. La moglie cerca invano di convincerlo a sfollare in campagna ma Bracesco vuole stare vicino al fratello Carlo, anche lui in pericolo per i suoi collegamenti con i partigiani. Si limita dunque a rimanere nascosto durante la notte dalla sorella, che abita poco distante da casa sua. A marzo poi ci sono nuovi scioperi nelle fabbriche da organizzare.

Un mattino, Enrico Bracesco esce dalla casa della sorella per l’ultima volta, qualcuno lo ha denunciato. E mentre si avvia zoppicando verso casa, viene arrestato. È Il 13 marzo 1944. In carcere portano anche la moglie con la bambina piccola che continua a piangere. La rilasciano dopo diversi interrogatori, mentre Enrico rimane a San Vittore per un mese subendo pesanti intimidazioni e violenze. Viene fatto partire dal Binario 21 della Stazione di Centrale di Milano. La destinazione è il campo di smistamento di Fossoli. Ci rimane per tre mesi, prima di venire trasferito a Bolzano. Il 7 agosto, viene caricato su un carro bestiame piombato diretto a Mauthausen. Prima di finire nel lager, era riuscito a inviare alla moglie alcune lettere avvisandola. "Ti leggo sul viso i segni del dolore e dell’attesa - si legge in una di queste lettere -; coraggio Maria, tutto ha fine, ti son sempre vicino spiritualmente son sicuro che mi senti, e porterai a termine anche questo tuo compito duro con sacrifici che solo una sposa ed una giovane madre sa trovare la forza necessaria, attingendo nella sua fonte inesauribile d’amore per superare ostacoli inimmaginabili".In un campo classificato dai nazisti come di classe 3, finalizzato cioè alla punizione e all’annientamento attraverso il lavoro, Enrico, con la sua gamba amputata, non può servire a nulla.

E spera proprio per questo di scamparla. Non sarà così. Vede comparire ogni tanto la “corriera blu”, un pullman coi vetri azzurrati per celarne il contenuto, che parte per destinazione ignota. Enrico intuisce qualcosa. Lo fanno salire sul pullman, lui getta dal finestrino la sua matricola. Numero 82.293. La destinazione è il Castello di Hartheim (nella foto in basso), vicino a Linz, in Austria. È il luogo in cui vengono condotti esperimenti sui deportati. Il disumano e folle progetto di eugenetica Aktion T4 per eliminare prima i disabili, poi tutti gli altri indesiderati. Non sappiamo a quali atrocità venga sottoposto in quel castello, l’unica certezza è la data della sua morte: 15 dicembre 1944.