DARIO CRIPPA
Cronaca

Il moschettiere dell’Alfa. Primo sangue in pista. Il pilota Ugo Sivocci sugli alberi del Parco

Meccanico e driver di talento, portò Ferrari nel mondo automobilistico. Dopo il suo schianto durante le prove del Gran Premio d’Europa . Mussolini impose di correre lo stesso, ma la casa del Biscione si ritirò.

Da quel giorno, in Italia, nessuna macchina ha più portato il numero 17. Perché la scaramanzia, dove si rischia la pelle, è una compagna di cui non si può fare a meno. Lo sanno i piloti di Formula Uno, lo sapevano a maggior ragione i pionieri di uno sport che, soprattutto alle origini, era maledettamente pericoloso. Quell’8 settembre del 1923, poi, la sua Alfa era sprovvista dello scaramantico quadrifoglio verde che aveva debuttato proprio con lui quell’anno in occasione della Targa Florio, la più antica corsa automobilistica di durata del mondo, nonché una delle più combattute. Ugo Sivocci se ne andò così, dopo essersi schiantato contro gli alberi del Parco di Monza con la sua Alfa Romeo P1 durante le prove della primissima edizione del Gran Premio d’Europa in programma all’autodromo di Monza. Aveva 38 anni. Terminava così la vita della primissima vittima delle corse all’Autodromo di Monza, che sarebbe stato segnato negli anni da tanti lutti e tragedie epocali come l’incidente del 1928, quando la macchina del francese Emilio Materassi volò sulle tribune ricolme di appassionati (22 morti). Oppure, oltre trent’anni più tardi, nel 1961, come quando la Ferrari di Wolfgang von Trips si impennò facendo strage di tifosi (una dozzina) sempre sulle tribune.

Il primo sangue resta però quello di Ugo Sivocci. Nato il 29 agosto del 1885 ad Aversa, in provincia di Caserta, figlio di un direttore di orchestra in trasferta, aveva cominciato la sua attività sportiva in corse di tutt’altra natura, in bicicletta (il fratello Alfredo vinse quattro tappe del Giro d’Italia). Le automobili erano però la vera passione di Ugo, che inizia la sua carriera motoristica nel 1906 a bordo di una OTAV (Officine Turkheimer per Automobili e Velocipedi), casa automobilistica fondata da un industriale ebreo tedesco e attiva a Milano fra il 1905 e il 1908. Assunto nel 1911 come meccanico e collaudatore alla casa automobilistica “De Vecchi” di Milano, al volante di una “De Vecchi” corre due edizioni della Targa Florio, con un prestigioso sesto posto. Quando la De Vecchi, entrata in crisi economica, è però costretta a cedere alla C.M.N. (Costruzioni Meccaniche Nazionali), la nuova casa automobilistica decide di fare campagna acquisti fra le vecchie maestranze e ingaggiare il suo pilota più quotato. Ugo Sivocci, appunto. Una decisione destinata a cambiare il corso della storia, dato che sarà proprio alla C.M.N. che Sivocci incontrerà un giovane disoccupato offrendogli un posto da collaudatore e poi da pilota: si chiamava Enzo Ferrari. Nel 1920 Sivocci passa alla Alfa Romeo, tranne una breve parentesi che gli consentirà nel 1921 di partecipare al primo Gran Premio d’Italia con la Fiat a Montichiari (quello di Monza arriverà solo nel 1922, dopo la nascita dell’Autodromo). Nel 1920, insieme a Ferrari, Sivocci viene ingaggiato dall’Alfa Romeo su interessamento dell’amico di vecchia data Antonio Ascari, futuro pilota di vaglia che nel 1925 avrebbe trovato la morte proprio a Monza, come il figlio Alberto 30 anni più tardi. Ascari, Sivocci, Ferrari e Giuseppe Campari formano la prima Squadra Corse dell’Alfa Romeo. Li chiamano i 4 Moschettieri. Un destino di sanque, visto che tre di loro moriranno in pista, Campari per ultimo nel 1933, sempre a Monza. In un incidente in cui a perdere la vita furono tre piloti, le cui salme furono composte nella Casa del Fascio di Monza, dove Benito Mussolini fece recapitare tre corone di fiori firmate col proprio nome. Ma torniamo a Sivocci.

Nell’aprile del 1923 conquista il successo più importante della sua carriera automobilistica, vincendo alla Targa Florio con un’Alfa Romeo, seguito al secondo posto dall’amico Antonio Ascari e al quarto, sempre su un’Alfa, dal conte Giulio Masetti, il pilota toscano ribattezzato dai suoi tifosi il “Leone delle Madonie” per i suoi successi in Sicilia. Ma Sivocci non ha più molto tempo davanti a sé. Pochi mesi più tardi, l’8 settembre, dovrebbe correre a Monza. La pista è bagnata, però, e durante le prove il pilota perde il controllo della vettura e finisce fuori pista, contro gli alberi del parco. Il suo co-pilota e meccanico, Angelo Guatta, rimane ferito gravemente ma se la cava, estratto dalle lamiere da Enzo Ferrari. La macchina accartocciata di Sivocci ha il numero 17 sulla calandra. L’anno prima su una vettura con lo stesso numero 17 aveva trovato la morte un altro pilota italiano, Biagio Nazzaro, in Francia. I piloti, i meccanici, i tecnici del mondo motoristico rimangono molto colpiti da questa circostanza, ne parlano, e da quel giorno quel numero non verrà più assegnato a nessuna vettura italiana. “The show must go on” non si dice ancora ma già si pratica, però. Il Gran Premio non si può cancellare, il Duce ci tiene troppo. La gara si disputa infatti regolarmente, starter di eccezione lo stesso presidente del Consiglio: Benito Mussolini. Ma lo stesso giorno della morte di Sivocci arriva un comunicato: "Una sciagura, dovuta a slittamento sulla pista bagnata, ci priva a poche ore di distanza dalla grande prova, del nostro più assennato ed esperto guidatore, del nostro Sivocci".

A firmarlo, l’ingegner Nicola Romeo che annuncia il ritiro delle altre vetture Alfa Romeo dalla competizione. In onore di Sivocci, il celebre “quadrifoglio verde” simbolo della casa automobilistica ufficialmente adottato sulle vetture sportive Alfa Romeo subisce un cambiamento. Lo sfondo bianco assume una forma triangolare. Non più il quadrilatero dei 4 Moschettieri. Con la morte di Sivocci, una delle punte in suo onore viene cancellata. E il triangolo viene viene spostato sulle fiancate. Riccardo Sivocci, che seguiva in pista papà Ugo sin da bambino, resterà nell’ambiente e diventerà meccanico personale del campione argentino Juan Manuel Fangio. Ma questa, è un’altra storia.