
di Barbara Calderola
L’Asst si ritaglia un altro posto di rilevo nel panorama della ricerca internazionale, l’ospedale di Desio è protagonista di uno studio sull’ictus. Il reparto di Neurologia affianca il Niguarda e l’Humanitas nel mettere a punto strategie che possano evitare l’emorragia cerebrale.
"Siamo di fronte a una delle più grandi sfide della salute pubblica in tutto il mondo - spiega il primario Ignazio Santilli -. Con l’invecchiamento della popolazione l’aumento dei casi è scontato". Da qui la scelta di giocare d’anticipo. Il lavoro a livello europeo è coordinata dall’Imperial College of Science, Technology and Medicine di Londra. I centri lombardi selezionati saranno impegnati nei prossimi tre anni insieme ad altri ospedali che vantano una lunga casistica neuro-vascolare fra Gran Bretagna, Germania, Spagna. Primo passo, arruolare pazienti. Il candidato ideale "è il malato che sia sopravvissuto a un episodio con fibrillazione atriale entro 6 mesi dall’avvio dello studio". L’obiettivo è capire quanto i nuovi anticoagulanti arginino il fenomeno "non se ne sa molto oggi e invece dobbiamo comprendere il ruolo dei farmaci". A Desio è già cominciata la chiamata di chi ce l’ha fatta. Per la Neurologia non è il primo riconoscimento di questo calibro. La sua autorevolezza clinica è confermata da un’altra pubblicazione apparsa da poco sulla rivista accademica inglese “Clinical Neuropsychology”, relativa a un caso studiato dalla branca di Neuropsicologia diretta da Maria Pia Grassi. La sindrome, molto rara, è stata diagnosticata, qui, su un brianzolo. La vicenda è stata descritta in modo così approfondito da destare l’interesse degli scienziati inglesi. Del resto la struttura fa parte della Rete regionale per le Malattie rare. Il reparto è noto anche per il trattamento della sclerosi multipla. I suoi specialisti si occupano di un centinaio di malati in arrivo dall’intero territorio.
L’impegno di Desio è di rilievo anche nel contrasto alla pandemia. Nei mesi scorsi, la Medicina del lavoro ha portato avanti un’altra importante ricerca – già pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences - relativa al rapporto fra pollini e Covid: più ce ne sono nell’aria, più si alza la probabilità di contrarre l’infezione.