"Fare il pane? Costa troppo" Lo storico forno di San Biagio chiude dopo quasi un secolo

Quattro generazioni di artigiani (e tre famiglie) in via Prina. Bollette alle stelle, domani lo stop. Ravanelli: "Qualità strangolata da caro energia e grande distribuzione, non combatto più".

"Fare il pane? Costa troppo"  Lo storico forno di San Biagio  chiude dopo quasi un secolo

"Fare il pane? Costa troppo" Lo storico forno di San Biagio chiude dopo quasi un secolo

di Dario Crippa

Da quasi un secolo in via Prina 26 si fa pane. Al forno si sono alternate tre famiglie (Piazza, Bosisio, Ravanelli) e quattro generazioni. Ma da domani Agostino Ravanelli, classe 1969, fra gli ultimi di una schiatta di panettieri al quartiere San Biagio, abbasserà la saracinesca. I costi di gestione sono saliti alle stelle. "Per l’elettricità, siamo passati da 0,21 centesimi al kilowatt fino a toccare punte di 0,71 centesimi. Il gasolio è salito da 0,61 centesimi al litro fino a 1,71".

Traduciamo…

"Le ultime due bollette dell’elettricità sono state di 4mila e addirittura di 7mila euro: prima della guerra in Ucraina ne spendevo 1.200 al mese. Anche l’affitto per le stesse ragioni è salito vertiginosamente".

E la materia prima?

"La quotazione mondiale del grano si è impennata, anche se il nostro grano non viene dall’Ucraina ma al 80% viene importato dal Canada. La sproporzione è enorme, la farina è passata da 68 centesimi al kg a 90, è una guerra di speculazione e io non voglio più combatterla".

Ma le bollette non sono l’unica ragione per cui chiude.

"Fare il pane non conviene più. La gente non ne consuma più come una volta: mangia più companatico, pranza e cena meno in casa. Quando ho cominciato a fare questo mestiere facevamo quintali di pane, oggi si parla di chili. Anche la città è cambiata: San Biagio si sta svuotando".

La vita del panettiere è una vita di sacrifici.

"Non hai un giorno di festa, lavori tutte le notti, fisico e famiglia ne risentono. E hai a che fare con una concorrenza spietata".

I supermercati?

"Si era riusciti a mettere un blocco, non si sarebbe più fatto il pane alla domenica. La domenica doveva restare sacra, il panettiere almeno un giorno alla settimana poteva restare con la sua famiglia e riposare. Adesso invece i supermercati offrono il pane tutti i giorni, molti di noi hanno dovuto adeguarsi".

Non è facile.

"Comanda il business, ma il pane artigianale è un’altra cosa sotto il profilo della qualità rispetto a quello industriale. Costa di più, non può essere venduto sotto i 10 euro al chilo".

E quindi?

"Il pane è come il vino: se vuoi abbassare i prezzi puoi farlo, certo, ma la qualità ne risente".

Torniamo ai suoi inizi.

"Ho cominciato a 13 anni e mezzo. Mio padre ha rilevato questa panetteria nel 1965. Abbiamo costruito un laboratorio di pasticceria, avevamo 12 dipendenti solo in produzione, e dal 1° agosto del 1983 sono entrato definitivamente in questa panetteria e non ne sono più uscito. Facevamo le vacanze a luglio per tenere aperti ad agosto e offrire un servizio al quartiere. Oggi, non ha più senso: i supermercati sono aperti, anche di notte".

Avete intuito che il pane non sarebbe più bastato.

"Mio padre ha investito subito sulla pasticceria, che io avrei ingrandito anni dopo. Facevamo le merende, un sacchetto da 10 brioche al martedì a 3.600 lire: il cliente poteva farci la merenda e la colazione. Ricordo ancora il giorno in cui mio padre mi annunciò che ormai vendevamo più dolci che pane".

Quali ingredienti occorrono per fare un buon pane?

"Ne servono due: un mugnaio coi baffi, che capisce se una farina è di qualità già dall’odore e dal sapore. E il panettiere".

A Monza in pochi fanno ancora la michetta. Perché?

"È il pane migliore, il più naturale. Ma anche il più difficile da fare, il più sensibile e delicato. Ed è quello che quando lo sforni dà la maggiore soddisfazione. Non lo puoi correggere, non si troverai mai nulla di extra, devi saperlo fare e farlo bene".

Cosa succederà?

"Si va verso l’online anche per il pane".