DARIO CRIPPA
Cronaca

Da ex frate a ladro sacrilego

Quarto capitolo del romanzo a puntate su Carlo Sala, l'ultimo eretico

Arredi sacri

CAPITOLO QUARTO: UN LADRO SACRILEGO

NON PIÙ FRATE, e nemmeno libraio, Carlo Sala deve inventarsi una nuova professione.

Sceglie quella di ladro. Per giunta sacrilego.

Mettendo a frutto - si fa per dire - la sua esperienza di cose sacre e un certo talento per il ladrocinio.

A dire il vero, Carlo Sala aveva già sperimentato con successo questa “professione”. Innanzitutto col famigerato colpo a casa dello zio, anche se lì a muoverlo era stata soprattutto la sete di vendetta.

Ma già pochi mesi dopo la sua fuga dal convento di Domodossola aveva commesso il suo primo vero furto. E lo aveva fatto in Brianza, andando a derubare – sarebbe interessante capire perché proprio lui - il parroco di Lesmo, al quale aveva sottratto 16 monete d’oro, dette anche monete “delle Due Armi”.

Ma questo è niente rispetto a quanto Sala combinerà negli anni successivi.

Carico di odio verso la religione, Carlo Sala comincia a depredare in maniera sistematica chiese e cappelle. In quattro mesi, dal novembre 1765 al febbraio 1766, mette a segno una serie impressionante di furti di arredi sacri nelle chiese di Capriano, Capiago, Lainate, Cinisello, Gessate, persino in un’imprecisata località vicino a Varese.

Nel 1767 colpisce ad Alserio, Lomagna e Pozzo di Caprio.

Fra 1767 e 1770 le sue incursioni notturne cessano in concomitanza con i suoi anni a Cremona, quando con la sua nuova professione di libraio sembra abbandonare le sue cattive abitudini.

Dopo aver però visto naufragare la sua nuova vita contro le scogliere della censura, un po’ per rabbia e un po’ per necessità nel 1771 Carlo Sala riprende a rubare: da febbraio a dicembre agisce nottetempo a Gerenzano, Lambrate, Carate Brianza, Burago e Costa Masnaga.

Non sempre i colpi gli riescono, come accade ad esempio a Castellanza o Usmate Velate, ma certo non si fa scoraggiare. Nel 1772 prende di mira le chiese di Missaglia, Cadorago, Varedo, Corneno, Somma, Orsenigo, mentre fallisce a Sirone, Biumo Inferiore di Varese, Sovico, Sant’Agata di Monza, Ossonna, Tradate e Orsenigo.

Nel 1773 lo troviamo in azione a Figino, Caponago, alla chiesa della Santa (la parrocchia di Sant’Anastasia nell’odierna Villasanta), a Lucino, Villa Pizzone. Fallisce invece alla chiesa di San Biagio a Monza, a Molteno e a Oggiono.

Nel 1773 sospende tutto per andare a Roma. Ha deciso di fare una cosa che ritiene necessaria, anche se rischiosa, dato che gli toccherà dichiarare la propria identità: va a chiedere il decreto di riduzione allo stato laicale dalla sacra Penitenzieria.

Come motivazione adduce che era stato costretto con la violenza a farsi frate e che finalmente vuol mettersi in pace con la coscienza.

Probabilmente a spingerlo a Roma è stato però anche un calcolo: Carlo Sala teme che prima o poi verrà scoperto e quindi sottoposto alla giustizia ecclesiastica.

È stato un frate, è fuggito da un convento e si è trasformato in un ladro sacrilego: Carlo Sala sa bene quello che ha fatto - e continua a fare - e sa che la Chiesa, nel momento in cui dovesse scoprirlo, sarà spietata con lui. Di sicuro, immagina che la giustizia ecclesiastica sarà più dura di quanto potrà mai essere quella civile.

Papa Clemente XIV ovviamente non sa cosa passi per la mente di Carlo Sala, ma alla fine autorizza la pratica.

E lui nel 1774 riprende con buona lena la sua attività di ladro spostandosi verso Milano: a Niguarda, Pogliano e Gorla Maggiore.

Ormai è diventato il terrore di ogni buon parroco del Ducato di Milano. La sua cattiva fama lo precede.

Fra l’altro, si è decisamente lasciato prendere la mano nel suo odio verso la religione.

A Burago e Varedo disperde ostie consacrate; a Niguarda toglie la statua di Gesù Bambino dalle braccia della Vergine e la getta a terra.

Lo sconcerto destato in religiosi e fedeli è enorme.

Nell’aprile del 1774, sempre più guardingo, si sposta fra i diversi Stati italiani per smerciare la sua scomoda mercanzia.

Ma ormai per lui è solo questione di tempo: un giorno viene fermato e incriminato dalla polizia bresciana per sospetta detenzione di argenti rubati.

E a maggio del 1774 viene mandato nelle carceri milanesi.

(4 - Continua)