Quattro file di posti riservati agli ospiti importanti, da Matteo Salvini a Licia Ronzulli, da Paola Frassinetti a Sandro Colucci, quest’ultimo a sostenere l’impegno di Noi Moderati, il quarto simbolo che, con Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega, compare nel manifesto elettorale di Adriano Galliani. Con Paolo Berlusconi a fornire l’assist finale. "Quando è morto Silvio gli ho telefonato e gli ho detto: devi essere tu. Lui ha risposto: se la famiglia me lo chiede, obbedisco".
È partita così ieri al Binario 7 la campagna elettorale di Adriano Galliani, sceso in campo per difendere il seggio al Senato che fu di Silvio Berlusconi e che ora bisognerà salvare con i denti dal nemico numero uno: non gli avversari, ma l’astensionismo.
"Nelle suppletive di solito va a votare il 20-25%. Ma se vota il 20% per noi l’è dura", dice Galliani. Uno spettro, quello della chiamata alle urne, evocato da tutti. A partire da Salvini: "Non c’è mai un risultato scontato – ha detto il vicepremier – Quello di Monza è l’unico collegio ad andare a votare il 22 ottobre con Trento e Bolzano e i giornali e le televisioni ne parleranno poco. Il popolo della Lega è accanto a Galliani, casa per casa, paese per paese, condominio per condominio".
Sulla scheda elettorale, una scelta non solo sull’uomo, ma sui valori, alternativi a quelli del diretto competitor Marco Cappato, puntando su quelle che Salvini definisce "due scelte di vita": "Non esistono droghe leggere, la droga è sempre morte; per noi la famiglia non è qualcosa di superato, la mamma si chiama mamma, il papà si chiama papà e i bambini vengono messi al mondo se ci sono mamma e papà".
Licia Ronzulli, capogruppo azzurra alla Camera, spinge sull’acceleratore, perché Cappato "è a favore delle droghe e accompagna la gente a morire". Adriano Galliani gioca in casa: la platea è piena di bandiere, lui sale sul palco per essere intervistato da Paolo Del Debbio.
E racconta la sua vita con Silvio Berlusconi, la cifra vincente di questa amicizia nata proprio in Brianza. "Ora torno a casa", dice. E racconta di Monza, sua città natale ma non solo. "Le nonne erano di Vedano, mio padre faceva il segretario comunale a Lissone, mia madre aveva un’azienda di trasporti: ho imparato a leggere sulla Gazzetta dello Sport che rubavo agli autisti di mia mamma". Poi, dopo gli studi ("mio padre mi ha dato un’alternativa: ragioniere o geometra") sei anni di lavoro in Comune a Monza, seguiti dall’idea di volare alto, per arrivare all’Elettronica Industriale a Lissone. Intanto coltivava il grande amore per il calcio e per i colori biancorossi. Poi l’incontro con Silvio Berlusconi, l’avventura delle televisioni e la gestione del Milan sul tetto del mondo.
Il Dna brianzolo qui fa la differenza: "I miei piatti preferiti sono casseuola e torta paesana, oltre al risotto alla monzese, che non è quello alla milanese, ha la luganega e in origine era bianco". La carriera, consumata tra Monza, Arcore e Lissone: "Quest’anno col Monza abbiamo fatturato 60 milioni che concorrono al Pil brianzolo".
La conclusione è inevitabile: "Credo di rappresentare i valori e l’essere di questa terra più degli altri competitor perché sono nato qui e ho fatto tutto qui. Non avrei mai accettato un altro collegio. Se sarò eletto farò il senatore con lo stesso spirito con cui ho guidato il Monza, portandolo per la prima volta dopo 110 anni in serie A".