Desio, processo Gelsia: resta il filone tangenti sui rifiuti

Archiviate le accuse di turbativa d'asta. Restano le presunte "bustarelle" per l'appalto sulla raccolta con microchip

L‘ex dg Gelsia Ambiente Antonio Capozza e l’ex presidente del cda Massimo Borgato

L‘ex dg Gelsia Ambiente Antonio Capozza e l’ex presidente del cda Massimo Borgato

Archiviato su richiesta della stessa Procura monzese un troncone dell’inchiesta per corruzione e turbativa d’asta in Gelsia. Mentre va in udienza preliminare il filone sulle presunte tangenti a dirigenti della società multiutility dei servizi pubblici per un appalto da oltre due milioni di euro sulla raccolta dei rifiuti per cui si annuncia una raffica di richieste di patteggiamento. A uscire dalla scena giudiziaria sono l’ex presidente di Gelsia srl Francesco Giordano, l’ex presidente di Aeb spa Alessandro Boneschi, l’ex presidente di Aeb Maurizio Bottoni e l’ex membro del consiglio di amministrazione di Aeb Gabriele Volpe. Con loro anche il costruttore Giorgio Vendraminetto, il cui nome emerge in un’altra inchiesta sulla presunta Seregnopoli dell’urbanistica successiva a quella che nel 2017 aveva puntato il faro sugli ex sindaci Giacinto Mariani ed Edoardo Mazza e sull’immobiliarista Antonino Lugarà per cui il processo è alle battute finali. Sotto la lente della magistratura erano finiti appalti sospetti, a partire da un immobile in via Colzani a Seregno, acquistato da Aeb nel 2013 per trasferirci una farmacia comunale e che secondo l’ipotesi di accusa poi non confermata era stato pagato a Vendraminetto per una cifra eccessiva. Per i pm Salvatore Bellomo e Michela Versini ci sono invece gli elementi per procedere contro l’ex direttore generale di Gelsia Ambiente Antonio Capozza e l’ex presidente del consiglio di amministrazione Massimo Borgato. Sotto accusa l’esistenza di un accordo corruttivo secondo cui i due amministratori della società avrebbero accettato una tangente da 60mila euro per agevolare gli imprenditori, facenti capo a una associazione temporanea di imprese di Barletta, ad aggiudicarsi nel 2017 una gara d’appalto di oltre 2 milioni di euro, finalizzata alla fornitura e distribuzione di sacchi per la raccolta indifferenziata, munito di microchip. Le società aggiudicatarie, attraverso un meccanismo di sovrafatturazione delle prestazioni rese agli ignari Enti locali dove veniva eseguita la raccolta dei rifiuti oppure documentando servizi mai resi, avrebbero frodato lo Stato e ottenuto anche anticipi di liquidità dagli istituti finanziari presso cui erano accreditati con cui pagare la tangente. Agli arresti domiciliari erano finiti anche Cosimo Damiano Sfrecola, residente a Barletta, amministratore della società pugliese che faceva capo all’associazione temporanea di imprese, l’intermediario Gaetano Giannini, anche lui di Barletta e un imprenditore di Limbiate, Fabrizio Cenci, che aveva avuto in subappalto la realizzazione del software per il microchip.