CRISTINA BERTOLINI
Cronaca

Dall’Unità d’Italia alla Monza da collezione Pini, la famiglia che incornicia la storia

Nel cuore del centro storico, Carla porta avanti la quarta generazione di una attività avviata nel 1854 dal bisnonno. Vetrate, stampe e quadri pregiati, statuine di guerrieri medievali, presepi artistici: "Ma i clienti sono cambiati e il mercato è in affanno"

di Cristina Bertolini

Ha visto l’Unità d’Italia e due guerre mondiali. Ha visto cambiare la società monzese e brianzola, con la scomparsa delle grandi aziende di manifattura. È la ditta di Cornici, stampe e specchiere Pini Geremia, come la racconta Carla Pini, che porta avanti l’attività come quarta generazione nel negozio e laboratorio in via Mapelli, all’ombra del Duomo. "Cominciò l’attività di corniciaio il mio bisnonno Pietro nel 1854, veniva da Bellagio, da una famiglia di vetrai e corniciai. Il suo archivio era nella chiesa di San Giovanni a Bellagio, andato bruciato – ricorda –. Ha aperto a Monza un negozio di terraglie, maioliche, vasi da giardino e vetrate in stile Liberty e classiche che lavoriamo ancora, ma solo per le case private".

Dal bisnonno, l’attività è passata al nonno Geremia a cui è ancora intitolata, poi a Giuseppe (già assessore e presidente dell’Unione commercianti) e infine a Carla e Umberto (mancato anni fa). "Ho frequentato il liceo classico Zucchi – ricorda Carla – ma sono cresciuta in negozio, nei momenti liberi venivo ad aiutare i miei genitori. Ricordo le grandi lastre di vetro che si acquistavano per le tavorazioni, taglio, smerigliatura e posa in opera. Dagli anni ‘50 agli anni ‘80 siamo stati manutentori delle grandi aziende Philips, Alfa Laval, Singer e Star . Era il periodo d’oro: avevamo 14 dipendenti". Carla ha visto cambiare la città e il mercato del vetro. Ha sentito i racconti del Dopoguerra, quando arrivavano i lastroni di vetro contingentati da Toscana, Puglia e dal Sud. Con la pratica Carla ha imparato dal suo papà a riconoscere i prodotti: le finiture delle cornici fatte a mano, diverse da quelle fatte a macchina. "Seguivo i miei genitori alle fiere negli anni ‘80 e abbiamo avuto diverse riproduzioni di acquaforte e stampe antiche. Oggi ancora icone greche rumene o polacche con mascherina in argento o rame argentato. Al tatto si riconoscono i lavori fatti a mano e gli stampati ripresi poi a pennello". Il lavoro vive ancora sulla fiducia con i fornitori e dei clienti che cercano cornici per oggettitica. Vengono e si fanno consigliare. Negli anni Carla ha visto passare specchiere artistiche pregiate e stampe antiche. "La clientela è cambiata – racconta – ora piuttosto che una cornice lavorata artigianalmente si cercano oggetti di antiquariato, oppure si rinuncia: un po’ perché ci sono meno artigiani e poi perché si spende meno per la casa e più per viaggi e intrattenimento". Un’attività che va a morire quella dei corniciai. "Mio figlio fa un altro mestiere – conferma – e non credo che avremo modo di passare il testimone. Quando finiremo io e mio marito Carlo penso che chiuderemo". Cambiano i tempi e cambia il modo di lavorare. Come spiega Carla, 50 anni fa un operaio da solo cambiava un vetro anche di grandi dimensioni. Oggi le aziende richiedono i vetri isolanti e a norma di sicurezza, molto più spessi e pesanti. Quindi non è possibile lavorare da soli: occorre un lavoro strutturato con più persone.

Il mercato artistico è in affanno, anche se si regalano ancora per matrimoni, battesimi stampe su tavole in legno rifinite con cere pregiate. Nel laboratorio del retrobottega si fanno ancora capanne da presepe. Torna la voglia di medioevo e gli appassionati richiedono molto le statuine di guerrieri medievali e crociati, i fermacarte a forma di spade. Mentre la solidarietà passa attraverso il commercio: produttori di oggettistica ucraina pregano che si comprino campanelle e piccole icone, unica forma di sostentamento.