Croce e delizia, 110 anni di vita

Due fallimenti e 8 tentativi mancati. La maledizione dei biancorossi

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Comincia tutto in una pasticceria. Il 1° settembre 1912 nasce il Monza e la prima vittoria arriva pochi giorni dopo contro una squadra che si chiama Juve Italia. La maglia è biancoceleste. Il biancorosso arriverà nel 1928. Sembra, anzi è l’inizio di una bella storia. Dopo 40 campionati di serie B (un record), quattro Coppe Italia di serie C vinte (anche questo un record) e un numero sterminato di giocatori e dirigenti cresciuti e regalati al grande calcio – da Adriano Galliani a Claudio Sala, da Daniele Massaro a Gigi Casiraghi –, nel nuovo millennio cominciano però le vacche magre.

Dopo i 19 anni di presidenza di Valentino Giambelli e i due anni di esperimento (fallito) per trasformarsi in società satellite del Milan, si arriva al primo fallimento. La società è sommersa dai debiti, il suo settore giovanile – che per tanti anni aveva consentito ai biancorossi di rimanere ai margini del grande calcio sfiorando persino la promozione in serie A – è stato azzerato. Il Monza si ritrova addirittura senza stadio e campi di allenamento (il centro sportivo Monzello finisce sotto sequestro), acqua calda ed elettricità vengono tagliati, gli stipendi sono un miraggio, si favoleggia ci siano addiritura giocatori costretti a dormire nel sottoscala dello stadio Brianteo.

E il 18 marzo 2004 viene dichiarato il fallimento del Calcio Monza Spa. Ripulita dai debiti, la società verrà acquistata pochi mesi dopo per 800mila euro dall’imprenditore edile bergamasco Giambattista Begnini che riporta entusiasmo sulla piazza monzese. Per qualche stagione le cose vanno bene, si manca di un soffio il ritorno in serie B, ma con l’uscita di scena di Begnini ricominciano i guai.

Si entra prima nei tre anni sciagurati della gestione del presidente ombra Clarence Seedorf, ex calciatore del Milan. Dopo campionati al ribasso conditi dalla retrocessione in Seconda divisione (ex C2), nel 2013 Seedorf vende per un euro a un misterioso imprenditore anglo-brasiliano: Anthony Emery Armstrong. I sogni di grandeur si sprecano. Armstrong gira in Ferrari (a noleggio) e fa grandi acquisti. La doccia gelata arriva quando emerge che è un millantatore. La polizia brasiliana scopre una truffa milionaria e perquisisce la sede della sua società in Brasile, lui fugge a Dubai. In una sola stagione si arriva a tre dirigenze diverse, anche qui un record, ma di stipendi neppure l’ombra. Ai giocatori vengono lesinati vitto e alloggio (a volte pagano gli ultras), cure mediche (mancano persino dottore, bende e cerotti), luce e gas.

Il Monza cambia 70 giocatori in un anno ma si salva miracolosamente. Eppure è questione di giorni e nel 2015 la società fallisce per la seconda volta. Si riparte dalla serie D. La prende Nicola Colombo. Figlio di Felice, ex presidente del Milan. Il Monza torna in C. Finché, nel 2018, arriva una telefonata: all’altro capo c’è Silvio Berlusconi. Vuole rientrare nel mondo del calcio. E inizia, 4 anni fa, l’avventura. Obiettivo, dicono Adriano Galliani e il patron della Fininvest, ballare il loro “ultimo valzer”.

Saliti in C a suon di mercati straordinari, investiti milioni di euro (almeno 9) nello stadio, si sfiora l’anno scorso, primo anno di B, il salto nella massima serie. Con Stroppa in panchina, si torna ora a sfiorare la promozione diretta il 6 maggio corso a Perugia. Ora l’ultima chance, con la finale playoff di stasera.

Da.Cr.