Coronavirus, tamponi troppo tardi alla San Giuseppe di Vimercate

Si contano 26 positivi su 33 anziani asintomatici, una situazione analoga per il 65 per cento del personale

Nella Casa Famiglia San Giuseppe sono più di 90 gli ospiti colpiti dal contagio

Nella Casa Famiglia San Giuseppe sono più di 90 gli ospiti colpiti dal contagio

Vimercate (Monza), 14 aprile 2020 -  Più di 90 contagiati nel mese di marzo su 124 ospiti. La Casa Famiglia San Giuseppe, la residenza sanitaria assistita per anziani non autosufficienti fotografa la devastazione lasciata dal passaggio del Covid-19. Sofferenza, dolore e commozione animano, pur nei limiti di una relazione tecnica, le pagine del report a firma del medico responsabile (Patrizia Pagliari), presidente (Carla Riva), coordinatrice (Natali e Gomez) e direttore (Roberto Zini).

Leggendo si scoprono dati sorprendenti, a volte inquietanti, sul comportamento del virus. Uno fra tutti. Quando il 26 marzo, l’epidemia aveva ormai invaso la struttura, la Casa ha finalmente ottenuto i tamponi dall’Ats Brianza, su 33 anziani asintomatici, 26 (poco meno dell’80%) sono risultati positivi o debolmente positivi. Tra il personale - medici, infermieri, fisioterapisti, educatori, operatori - la percentuale di positività è stata del 65%. Dati che confermano, chi ha la responsabilità di governare l’epidemia in Italia è avvisato: "Come sia difficile poter fare una reale prevenzione senza l’ausilio dei test per verificare l’effettivo contagio".

La direzione "è sempre riuscita a garantire una sufficiente dotazione di dispositivi di protezione individuali" grazie alle donazioni dell’Associazione volontari pronto soccorso, di un dentista, Paolo Arosio, Avolvi, Schindler di Concorezzo e Agritech di Calvisano (BS). Ma, pur con le dovute protezioni "molti operatori si sono ammalati". In alcune giornate gli organici sono stati ridotti a meno del 70%. Sono stati però eroici nel dare cure e amore agli ospiti. Ai primi segnali di allarme, la Fondazione che gestisce la Casa ha limitato gli accessi fino ad arrivare a proibirli. "Purtroppo nel momento in cui abbiamo provveduto alla chiusura totale molto probabilmente il virus del Covid-19 era già entrato". La comunicazione con parenti e familiari degli ospiti non si sono però mai interrotte.

I primi contagi con sintomi risalgono al 5 marzo: "Convincere gli ospiti ad auto-isolarsi non è stato semplice, e questo può aver favorito la diffusione del virus". Gli investimenti e le donazioni ricevute negli anni passati di strumenti di diagnosi e cura (ecografi e concentratori di ossigeno) sono stati utili per gestire l’emergenza. Ma non tutti sono riusciti a superare la malattia. Niente numeri, ma una certezza: "Coloro che ci hanno lasciato hanno ricevuto fino all’ultimo momento ogni cura possibile, inclusa la possibilità di morire con dignità e senza sofferenza". A chi lo ha richiesto, il conforto spirituale, in assenza di sacerdoti, è stato assicurato dal personale "seguendo le indicazioni che sono state fornite dai Vescovi delle diverse diocesi".