Quando Sean Connery scappò... al Parco

A sorpresa durante la prezentazione di un film nel 1972 si prese una boccata di libertà per andare a vedere i cavalli e l’Autodromo

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Monza, 27 febbraio 2022 - "Il mio nome è Bond, James Bond". Tutti riconoscono al volo questa frase. Marchio di fabbrica dell’agente segreto per antonomasia. James Bond, 007, eroe creato dallo scrittore britannico Ian Fleming per una fortuna saga prima letteraria e poi cinematografica. Nell’anno 1972, però, c’era una persona che probabilmente non sopportava più di sentirsela ripetere. 

Si chiamava Sean Connery, ed era l’attore che aveva prestato il proprio volto al personaggio, firmando una serie di film di successo: Agente 007 – Licenza di uccidere; Agente 007, dalla Russia con amore; Agente 007 – Missione Goldfinger; Agente 007 – Thunderball (Operazione tuono); Agente 007 – Si vive solo due volte. Pellicole che ebbero uno straordinario successo. Sean Connery aveva interpretato quel ruolo fino al 1967, quando durante le riprese del quinto film della saga aveva deciso di abbandonare il personaggio, preoccupato di rimanervi intrappolato. Era stato sostituito da George Lazenby nel successivo film Agente 007 – Al servizio di sua maestà nel 1969. Il film era andato bene, ma i suoi produttori avevano preferito tornare a Connery, e nel 1971, dopo lunghe e sofferte trattative (e considerevole assegno) Connery aveva accettato di tornare sui propri passi in un nuovo film: Agente 007 – Una cascata di diamanti. Questa volta però l’accordo era stato granitico: l’attore scozzese avrebbe impersonato 007 solo per quella pellicola, e avrebbe a quel punto definitivamente lasciato il testimone a Roger Moore, che per inciso non se la cavò poi tanto male. Va tuttavia ricordato che nel 1983 Sean Connery sarebbe tornato nuovamente, e per l’ultima volta, sui propri passi, convinto dal compenso record (devoluto a un fondo educativo!) ottenuto per il film Mai dire mai

L’attore scozzese era consapevole del rischio cui andava incontro: rimanere imprigionato in un personaggio che di fatto gli avrebbe impedito di misurare le sue (considerevoli) qualità attoriali. E forse non aveva tutti i torti, anche se avrebbe dovuto attendere fino alla metà degli anni Ottanta per assistere alla propria consacrazione. Torniamo però al 1972: forse pochi ricordano una pellicola d’autore che l’attore scozzese interpretò proprio quell’anno nel tentativo anche di scrollarsi di dosso Bond e le sue frasi iconiche, come quella per ordinare il suo Vodka Martini: "Agitato, non mescolato".

Quel film doveva essere Riflessi d’uno specchio scuro. Una pellicola cupa, diretta dal regista Sidney Lumet, nella quale l’attore avrebbe impersonato un personaggio spigoloso e complesso come il sergente Johnson. Un agente al servizio della polizia inglese da ormai 20 anni, perseguitato dai ricordi dei crimini violenti con cui si era trovato ad avere a che fare. Un poliziotto la cui mente stava progressivamente vacillando tanto da uccidere un uomo sospettato dello stupro di una ragazzina. Quello che però pochissimi ricordano è che Sean Connery, l’anno in cui venne a presentare anche in Italia la sua ultima fatica… passò a sorpresa anche da Monza. La presentazione del film era prevista a Milano e Connery si prestò come da prammatica al programma previsto in questi casi per promuovere la pellicola. Ma si concesse uno strappo che potrebbe stupire. Scelse di regalarsi anche una “fuga”… al Parco di Monza. Da buon campagnolo e appassionato di cavalli qual era, non riuscì a resistere alla tentazione di ammirare da vicino il Parco di Monza. 

E da amante dei cavalli – come non ricordarlo nel film di Hitchcock, Marnie mentre si aggira alle corse dei cavalli assieme alla bella e tormentata Tippi Hedren? – e delle macchine veloci… fece un giro nelle scuderie del Parco e all’autodromo di Monza. Le cronache del tempo rammentano anche come era vestito: polacchini gialli, calzoni di velluto a coste, camicia fantasia comperata a Milano proprio in quei giorni, giacca sportiva color testa di moro. Gentile e disponibile, ma non troppo. La sua fama da gran seduttore ovviamente lo precedeva, ma Sean Connery, che ben lo sapeva, non accettava di offrire il fianco alle cronache rosa. E concesse sì tutte le interviste che gli venivano chieste, ma con una precisazione inscalfibile posta all’intervistatore di turno che gli sedeva davanti provando a strappargli qualòche confidenza qualcosa sui suoi amori: "Sono sempre stato molto geloso della mia privacy. E l’ho tenuta veramente in un raggio privato, scusate ma questi sono fatti miei". E, anche se il gossip non lo risparmiò mai del tutto, Ursula Andress e le tante belle dei film di 007 vivevano (forse) solo nei film e lì dovevano restare. Perché Sean Connery era un attore. Un grande attore.