Monza, cocainomane a 10 anni: "Aveva lo sguardo perso, un segno evidente"

"Era rabbiosa e confusa". Il primario di Vimercate: ora una lunga strada per guarire

Medici (foto di repertorio)

Medici (foto di repertorio)

Monza, 2 agosto 2019 - «Un caso limite, che ci fa capire quale sia la tendenza di oggi e quale emergenza dovremo affrontare in futuro. Ma quei segni sono purtroppo inequivocabili: sguardo vuoto, rabbia, confusione». Con questa sintesi il primario di psichiatria di Vimercate, Antonio Amatulli, che ha accolto nella sua struttura la piccola di soli 10 anni vittima della cocaina, fa trasparire la preoccupazione e l’angoscia per un problema che cresce, nel silenzio generale. È lui stesso a raccontare le prime cure alla bambina.

Come ve ne siete accorti e come avete agito?

«Come per gli altri giovani che riempiono le degenze, i sintomi lasciavano pochi dubbi sull’origine dei problemi. Quando è così, è il ritratto del dolore».

E cosa verrà dopo?

«Sarà una lunga strada, che coinvolge la famiglia. Nessun giudizio morale, solo sostegno».

Ma la piccola non è la sola di cui vi siete occupati?

«Qui i ricoveri dei minori sono cresciuti in modo esponenziale. È un fenomeno nuovo e gravissimo, fino a cinque anni fa praticamente non esisteva. Adesso, è quotidianità. E le strutture devono cambiare: sono pochi i reparti di psichiatria destinati ai minori, in Lombardia sono solo cinque. Dove non esistono, i ragazzini finiscono assieme agli adulti».

Cosa c’è alla base del boom di pazienti?

«L’abuso di stupefacenti e di superalcolici per quanto in aumento non basta a giustificare tutto questo. Ci sono altre due cause: la complessità della società e l’inadeguatezza della famiglie e della scuola. Mancano ruoli chiari, senza i quali non si matura».

Eppure, i ragazzi hanno grandi capacità pratiche.

«Esatto. Ed è un pezzo del problema. Sviluppano talenti cognitivi, sono imbattibili con lo smartphone, ma a questa fioritura ‘funzionale’ non corrispondono adeguate capacità intellettuali. Sono immaturi e disancorati».

Cioè?

«Manca un sistema di valori da rielaborare per evolvere, ma che è un insostituibile punto di partenza. Uno dei due ventenni americani che ha confessato di avere ucciso il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega a Roma scriveva di sé su Internet: sono il re del nulla. Ecco, i ragazzi sono corde tese sul niente. Manca la base. E poi la figura del padre è assente. I papà sono pari, ce lo raccontano drammatici fatti come l’incidente di Alcamo in cui due figli muoiono perché il padre ha assunto cocaina, si è messo al volante postando un vi- deo su Facebook. È il terzo fratello, non un papà».

Come se ne esce?

«Bisogna ripensare al ruolo genitoriale alla scuola. E poi la prevenzione è fondamentale. Si stima che il 50% degli adolescenti faccia almeno un’esperienza con la droga. Per il 20% diventa un’abitudine. E poi ci sono fenomeni nuovi come la drunkoressia. Si digiuna prima di ubriacarsi per evitare di ingrassare e per aumentare lo sballo. Senza trascurare il problema sociale. Uno stipendio in casa non basta. Spesso, per entrambi i genitori lavorare non è una scelta, ma un obbligo. E i figli talvolta si perdono».